(S)montaggio:Qualcuno volò sul nido del cuculo.

di Silvia Boccardi

Il cuculo non possiede un nido e lascia le sue uova nei nidi degli altri uccelli, volare nel suo nido significa quindi compiere una azione creduta impossibile, andare oltre,  rompere gli schemi.
Nel 75 Milos Forman dirige questo splendido film ambientato in un ospedale  psichiatrico che vince 5 premi oscar.
Nessuno può dimenticare lo scontro tra Jack Nicholson, che dovrebbe essere nella parte del cattivo ma è profondamente umano e simpatico, e l’infermiera del reparto che avrebbe potuto, se qualcosa nella sua vita fosse andata diversamente, essere una  donna piacevole, preparata e comprensiva e invece è glacialmente e inconsapevolmente sadica fino al punto di indurre al suicidio il timido e giovane paziente che per la prima volta ha avuto un’esperienza sessuale con una prostituta, minacciandolo di raccontare tutto alla terribile madre. 

Questa guerra tra i due , corredata da personaggi minori tenerissimi e indifesi, produce nello spettatore una partecipazione quasi violenta e dolorosa, con immagini e sensazioni che rimangono nella nostra mente.
La forza trascinante dell’immedesimazione  è credo la cifra di ogni film riuscito, che parla alle nostre anime e che porta con sé un’istanza morale che ci fa uscire dal cinema diversi e talvolta migliori.
Con grande emozione il film ci ha detto qualcosa di molto importante, e cioè che ogni malato, al di là delle tecniche di cura e delle medicine, è un essere umano che ha bisogno di essere rispettato e che  il giusto approccio sta innanzitutto nel riconoscere le sue umane necessità di amare, divertirsi e affermare se stesso.
Il film si colloca  sull’onda di un movimento contestatario e liberalizzante iniziato già nel 68, che in Italia culmina con la amata e  discussa legge Basaglia del 78, legge che riconosce l’idea del malato mentale come prodotto della società in cui vive e che di fatto lo ha creato e poi lo rifiuta relegandolo in ospedale.

Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo, di Milos Forman, 1975

D’altro canto però,  proprio grazie alla sua grande forza persuasiva  il film  rappresenta alcune scene di grandissimo impatto nelle quali si alimentano, a mio parere,  alcuni tra i più diffusi luoghi comuni del mondo psichiatrico e psicologico . Fra tutti porto due esempi:
l’idea  che l’elettroshock sia stato soprattutto una pratica punitiva, da usare con chi si ribella alle regole per annichilirlo e piegarlo, una demonizzazione che ha contribuito alla scomparsa, perlomeno in Italia, di questa pratica terapeutica, forse ancora poco spiegabile nei suoi meccanismi, ma di grande efficacia  in alcune patologie.

In ambito psicologico invece voglio ricordare la teoria ambigua e diffusissima che attribuisce, in modo secondo me troppo meccanico ai comportamenti delle  madri, la causa di gravissime malattie mentali dei figli. Stiamo parlando di un terreno scivoloso perché nessuno può negare l’importanza enorme di una buona funzione materna, ma da prudenti e sensate osservazioni  è diventato quasi un’abitudine lasciarsi andare a spiegazioni automatiche e superficiali e a volte a dannosi e dolorosi pregiudizi. 

Condividete qualcosa  di queste posizioni? 
Credete che , a distanza di 45 anni, questo possa appannare il valore artistico del film?

Qualcuno volò sul nido del cuculo, 1975 di Milos Forman con Jack Nicholson, Louise Fletcher, Danny De Vito.

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Letizia Piredda

Ciao Silvia, mi sembra molto interessante la tua analisi e sicuramente aprirà alla discussione.

Patrizia

Trovo l’ analisi di Silvia molto interessante, accurata e complessa, sia dal punto di vista strettamente cinematografico sia da quello medico.
Purtroppo la descrizione di ospedali psichiatrici nei quali si pratica l’elettroshock per punire i pazienti è molto frequente nel cinema.
La mia opinione è che questo non toglie nulla al film che comunque denuncia una violenza psicologica; inoltre se non contestualizzassimo le opere d’arte dovremmo buttare più della metà di tutto quello che è stato prodotto.
Il mio ricordo personale del film di Forman è quello dell’ ultima scena, quando il gigante finto muto fa a suo modo giustizia e poi se ne va,chissà dove, libero e solo come in un film di John Wayne.
A quei tempi eravamo molto severi con gli americani individualisti🙄

Lorenza

Molto interessante. 1 Mi piacerebbe sapere qualcosa di più sull’efficacia dell’elettroshock.
2 Quanto all’influenza materna il dibattito tra nature o nurture (se la personalità dipende più dal patrimonio genetico o dall’influenza dell’ambiente in cui si cresce, o da una combinazione di entrambi) è infinito e sarebbe interessante vedere come la questione si pone anche in altri film.
L’autrice che posizione ha al rispetto?

silvia boccardi

Grazie del commento Patrizia, credo che hai ragione sul contestualizzare, anche se alle volte voler sostenere una posizione un po’ ideologica può portare a caricare troppo di emozione la scena cioè a “colpire un po’ basso” e questo nel tempo si capisce di più.. non so se mi sono spiegata