
di Martina Cossia Castiglioni
Nel novembre del 1943 Rosa Sauer lascia Berlino per trasferirsi a casa dei suoceri a Parcz, nella Prussia Orientale, mentre il marito Gregor è al fronte. A pochi chilometri dal paese, nella foresta, c’è la Tana del Lupo, quartier generale e rifugio di Adolf Hitler e dei suoi più stretti collaboratori, costruito per ragioni di sicurezza di fronte all’avanzata delle truppe sovietiche. Rosa, e con lei altre sei donne «giovani, sane e tedesche», viene scelta per mangiare le pietanze destinate al Führer, affinché i nazisti possano accertarsi che il cibo non sia avvelenato. Per le altre all’inizio Rosa è solo «la Berlinese», ma in seguito, in questa situazione di costrizione, tra tutte loro si instaurano legami importanti.

A quattro anni dal lungometraggio 3/19 (e dopo il documentario Un altro domani, del 2023), Silvio Soldini torna nelle sale con un nuovo lavoro, Le assaggiatrici. Presentato al Bari International Film Festival nel marzo scorso, il film è tratto dall’omonimo romanzo di Rosella Postorino (Premio Campiello 2018), a sua volta ispirato alla storia di una donna tedesca, Margot Wölk. Quando avevano proposto al regista la realizzazione della pellicola, esisteva già una sceneggiatura scritta da Cristina Comencini, Giulia Calenda e Ilaria Macchia. Soldini decide di ripartire dal romanzo, e di lavorare sullo script originale con Doriana Leondeff (sua storica collaboratrice) e Lucio Ricca. Non è la prima volta che il regista porta sullo schermo un’opera letteraria. L’aveva già fatto nel 2002 con Brucio nel vento, adattamento del romanzo Ieri, di Agota Kristof.
Cuore del film e del romanzo, per Silvio Soldini, è il gruppo delle donne e le dinamiche che si creano tra loro. Per questo, ha raccontato il regista, c’è stato un grande lavoro sui personaggi, prima sulla carta e poi con le attrici. Ma sono molti i temi importanti toccati dalla pellicola. Il corpo femminile, per esempio, ancora una volta abusato: donne utilizzate come cavie in una sorta di roulette russa nella quale paradossalmente il cibo (più importante in epoca di guerra proprio perché scarseggia) da nutrimento – e quindi simbolo di vita – diventa una possibile causa di morte. E non ha importanza che le donne siano tedesche, perché come ogni aggressore Hitler fa soffrire anche il suo stesso popolo. Nel film Rosa ha una relazione con l’ufficiale tedesco Albert Ziegler. Una storia che nasce dalla solitudine (le donne del gruppo sono vedove, o sole, o con i mariti al fronte, mentre quello di Rosa è disperso), da un’attrazione fisica, ma anche, sembra suggerire il regista, dal desiderio di prendersi uno spazio intimo, lontano dalle brutture della guerra, dalle convenzioni, dai condizionamenti e dal ruolo che si ha nel mondo esterno. Uno spazio dove ritrovate la propria umanità.


C’è nelle Assaggiatrici un’attenzione alla forma, all’inquadratura – specie nelle scene girate a tavola – nella ricostruzione degli ambienti, nella fotografia. Il film si avvale di un cast eccezionale di attrici tedesche. Non tutte le figure femminili sono tratteggiate con la stessa profondità, ma spiccano Rosa (Elisa Schlott) ed Elfriede (Alma Hasun). Max Riemelt, nel ruolo di Albert, riesce bene a esprimere le contraddizioni dell’animo del suo personaggio.
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