Bird di Andrea Arnold

La rabbia giovane del(la) Antoine Doinel dei giorni d’oggi

di Giulia Pugliese

Bird è un film di sguardi, che si appropria a modo suo del realismo magico, una corrente cinematografica molto forte in questi anni, con echi alla Nouvelle Vague e alla New Hollywood.
Quello che colpisce di Bird è l’estrema lucidità del processo, che racconta la storia reale di una ragazzina, Bailey, che vive in una periferia degradata. Una trama, se vogliamo, già vista, in cui la regista riesce a inserire in maniera coerente riferimenti alla magia, all’animismo e citazioni al cinema, senza che questo sembri eccessivo e senza creare una sensazione d’innaturalità.
Il film non è solo un prodotto di denuncia sociale o un affresco su un ceto sociale, ma è il tentativo ben riuscito di fondere la rabbia, la povertà e il degrado con la bellezza della natura e del cinema, (Bailey riprende sempre tutto, come se la telecamera del suo cellulare fosse una sorta di difesa, ma anche un modo per evadere, per creare e per ricordare). Il film ci regala una sorta di poesia urbana che lo rende speciale e dà un senso di benessere allo spettatore.

Non siamo in un’Inghilterra proletaria alla Ken Loach: non esiste più la lotta di classe, il lavoro in fabbrica e una comunità di persone che si supportano. Adesso ci sono gli squat, la droga e il tirare a campare attraverso i sussidi e il fare figli. È più Amore Tossico di Claudio Caligari che Io, Daniel Blake. Tra genitori ancora bambini e bambini che fanno i poliziotti per punire chi abusa di loro.
Uno dei personaggi che conosciamo per primo è il padre di Bailey, Bug, interpretato dall’attore di grido Barry Keoghan, completamente tatuato di elementi animaleschi e pieno di idee per fare soldi, ma anche consumatore di droghe, incapace di cogliere i malesseri dei figli, pur rimanendo umano, anche se inadeguato nel ruolo genitoriale. La scena della stazione rivela la sua umanità e anche il suo modo di essere un padre presente.

Bailey, che ha solo 12 anni, deve affrontare la sua realtà, sapendo che se fosse nata qualche chilometro più in là, avrebbe potuto avere attenzioni genitoriali, una casa e credere nel suo futuro. Un po’ come Antoine Doinel dei 400 colpi, riferimento predominante del film, di cui riprende lo sguardo in macchina, uno dei momenti di evasione che avviene sulla spiaggia, e le riprese aeree del film francese. Il bambino del film di François Truffaut cercava la Tour Eiffel, Bailey cerca gli uccelli, che possono scappare via in ogni momento e vedere il mondo.
Chi meglio di Truffaut è riuscito a raccontare la rabbia di un giovanissimo per la sua situazione sociale, per non essere capito dalla sua famiglia, che in qualche maniera lo abbandona? Andrea Arnold parte proprio da questo, infondendoci però un senso di speranza e di bellezza, dato dagli ambienti, ma a tratti anche dalle persone, come il momento in cui tutti gli amici del padre si mettono a cantare Yellow dei Coldplay, il matrimonio e la solidarietà che c’è tra ragazzini. In questi diseredati, forse, si può ancora trovare un briciolo di umanità, sincerità e, perché no, di poesia.
Ma persino Bailey, in un contesto così, ha bisogno di un po’ di speranza, che le viene data da Bird, interpretato da Franz Rogowski, perfetto anche in questo improbabile personaggio: una sorta di mistico stramboide, elfo o angelo. La sua figura rimane oscura: non sappiamo quanto sia reale o no ciò che vediamo, se la ragazzina abbia creato alcune cose nella sua testa per superare i drammi e i traumi della sua giovane vita.
Bird, nel girato, mescola inquadrature mosse, una regia realistica, le riprese di Bailey fatte con il cellulare, e riesce a creare una stratificazione di comunicazione che risulta vincente nel descrivere personaggi e storia. Nonostante il film non sia nulla di nuovo, viene dato un nuovo valore alla messa in scena; in più, gli elementi fantastici danno un senso di speranza, risultano diversi e interessanti.
Un film che ha tanti riferimenti tra il cinema francese e quello anglosassone moderno: Saltburn, Fleabag e anche Birdman di Alejandro González Iñárritu. Ma il gioco citazionista non toglie umanità ai suoi personaggi, che sono il centro e la bellezza del film. In primis Bailey, una bambina-donna sensibile, che cerca la bellezza in ogni cosa e la strada per crescere, forse tortuosa, ma comunque, come ci dice il film per tutto il tempo, non bisogna preoccuparsi, tutto andrà bene.

Informazioni su Giulia Pugliese 44 Articoli
Giulia Pugliese Scrittrice Educazione 2011 - Master in EUC Group & CEERNT European Project 2006/2010 - Laurea triennale in Cooperazione allo sviluppo Esperienze lavorative 2024 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Odeon 2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online I-Films 2022/2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Long Take Premiazioni Vincitrice del concorso di scrittura per la critica cinematografica over 30 indetto da Long Take Film Festival quinta edizione - 2023

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