Black Mirror: uno specchio nero puntato sulla digitalizzazione sociale della nostra vita.

di Nicola Adamo


Black Mirror è una serie antologica in cui ogni episodio racconta una storia diversa, ma tutte hanno un
filo conduttore, cioè la tecnologia e i comportamenti sociali nati da essa che poi sfociano, senza
neanche accorgersene, in due tipi di eccessi: uno che riguarda la tecnologia stessa, che va oltre la
semplice comprensione umana, e l’altro che vede una società che sostituisce sempre di più il “sociale”
ed il “vitale” con il “digitale”. Il Black mirror è lo schermo nero dei nostri dispositivi, come il semplice
smartphone, da cui vogliamo il potere di fare, dire, sapere tutto, senza renderci conto che questo
stesso potere ci ha annichiliti e sottomessi alla digitalizzazione.
Per spiegare meglio e far capire nel migliore dei modi cosa intendo per “digitalizzazione sociale della
nostra vita» ho selezionato sei episodi, tra i quali uno speciale ed un film, che secondo me fungono
perfettamente da specchio a quanto scritto…
Il primo è Messaggio al primo ministro. Questo episodio sciocca subito per la sua assurdità: il primo
ministro britannico è costretto a fare qualcosa di impensabile in diretta TV per salvare la vita della
principessa (egli è infatti obbligato ad avere un rapporto sessuale con un maiale il giorno stesso del
rapimento della principessa). La puntata mostra il potere dei media, dell’universo virale, e come il
pubblico si trasforma in giudice e carnefice dietro uno schermo: il messaggio è chiaro, l’opinione
pubblica, spinta dai social (una lettera in meno di “sociale”, ma infiniti modi di essere più cattivi) e dai
media, può distruggere chiunque, anche chi ha potere, e che in questo caso si ritrova ad essere il più
fragile tra i fragili.

Gli episodi: Messaggio al Primo Ministro, Orso Bianco, Zitto e balla

Il secondo è Orso Bianco e parla di giustizia, punizione e spettacolo. Questa specie di show inizia con
una donna che si risveglia senza memoria, e con l’immagine poco chiara di un orso stilizzato in
televisione, che non riconosce proprio: la protagonista così scopre di vivere in un mondo in cui è
inseguita da sconosciuti mentre le persone la filmano con i cellulari. Alla fine scopriamo che è una
condannata e quello che vive è una punizione messa in scena ogni giorno: il vero protagonista si rivela
essere la società in cui la donna si “risveglia”, facendoci interrogare in una maniera che oscilla tra il
geniale, il grottesco e l’inquietante, sul nostro desiderio di “vendetta”, sulla spettacolarizzazione della
sofferenza e su come la giustizia possa diventare intrattenimento anche, e soprattutto, per un pubblico
che non sa più, forse, quanto sia bello e prezioso ogni tanto annoiarsi.
L’altro episodio è lo speciale intitolato, inequivocabilmente, Bianco Natale, il quale si presta ad essere
sin dall’inizio molto cupo e potente. Possiamo percepire la sua potenza anche dall’ambientazione in cui
si svolge la trama: Il Natale, che in questo preciso caso però vediamo meno bianco e sempre più cupo.
L’episodio tratta di isolamento, colpa e controllo, il tutto introdotto e connesso da una nuova
tecnologia che permette di bloccare, letteralmente, una persona nella realtà (diventando una sagoma
sfocata) e un’altra che consente di creare copie digitali della mente umana (che ormai di umano, un
po’ come tutto, ha sempre meno): il punto centrale allora è… fino a che punto possiamo parlare di
punizione, se anche il “semplice” concetto di essere umano è minato dalla possibilità di poter replicare
la nostra coscienza, vedendo alterato ciò che può essere inteso come giusto e ciò che, generalmente,
possiamo intendere come sbagliato?
Il quarto episodio scelto è Zitto e balla, in cui un ragazzo viene ricattato da ignoti che lo obbligano a
compiere azioni sempre più estreme, minacciando di pubblicare un suo video molto privato. Se
all’inizio della puntata il protagonista ci viene mostrato rassicurante riguardo a tutto ciò che gli
succede attorno, con la scoperta di quel video, potenzialmente pubblicabile da ricattatori sconosciuti,
inizia una discesa in un baratro sempre più surreale: il suo silenzio comincia a crescere man mano che
a crescere sono tutti quegli ordini che è costretto ad eseguire, creando un netto contrasto tra quello
che fa e come lo affronta. L’episodio è un pugno allo stomaco soprattutto nel finale (non solo perché i
video, del ragazzo e delle altre persone coinvolte in questo gioco a metà tra perversione e giustizia
privata, verranno pubblicati ugualmente, ma anche perché si scoprirà che quello del protagonista
conteneva sì lui stesso mentre si masturbava, e noi questo già lo sapevamo, potendo portare i più a
pensare che la sua ferrea volontà di non farlo mettere on line fosse alquanto esagerata, ma che lo
faceva guardando contenuti pedo-pornografici), e ci parla della sorveglianza online, della vergogna
pubblica, e dell’idea che nessuno è davvero innocente: internet si trasforma, ora più che mai, in
un’arma, e la privacy in una bomba a orologeria, il più delle volte esplosa ancora prima di aver azionato
il meccanismo di detonazione.
Il quinto episodio è Hang the DJ, uno dei pochi che offre speranza. La puntata si rivela essere un
piccolo sospiro di sollievo, una bella boccata d’aria anti-angoscia rispetto alla maggior parte delle altre,
ma senza farsi mancare quell’altalena emotiva che contraddistingue, tra le infinite peculiarità, questa
serie: la scelta della colonna sonora e la storia che ruota attorno a quel 99,8%, creano nello spettatore
un’emozione di saccente speranza, per poi vederla distrutta, ma senza strascichi, senza traumi di alcun
genere, però con tanti dubbi. In un mondo controllato da un sistema di appuntamenti digitali, che
decide chi devi amare e per quanto tempo, due persone iniziano a ribellarsi al meccanismo: la storia
riflette sull’amore nell’era degli algoritmi, su come le app influenzino le nostre relazioni e sul desiderio
umano di libertà anche in un mondo perfettamente calcolato, in cui anche l’incalcolabile per
antonomasia, l’amore, diventa una questione di 1,0 e script vari…

Gli episodi: Bandersnatch, Bianco Natale, Hang the DJ


Il sesto ed ultimo è in realtà un film-esperimento interattivo dal titolo Bandersnatch, in cui sei tu,
spettatore, a scegliere cosa deve succedere. La cosa che lo rende ancora più unico e geniale (già dalla
fase di ideazione) è che il tutto esiste, non solo su tre media di distribuzione diversi, ma anche su tre
livelli di realtà/meta-realtà distinti; mi spiego: in poche parole abbiamo un Bandersnatch libro-game,
un Bandersnatch video gioco che trae ispirazione dal libro e un ultimo Bandersnatch che è il film
stesso, rivelandosi però sempre più simile ad un videogame vero e proprio più che ad un prodotto filmico.
Anche qui il punto è la libertà, infatti il protagonista, un giovane programmatore, cerca di creare un
video gioco a scene multiple, ma si rende conto di essere a sua volta controllato: il film così si presta ad
essere, in maniera a dir poco del tutto originale, anche una forte riflessione sulla perdita del libero
arbitrio, sulla pressione creativa e mentale e su come, anche quando scegliamo, forse, non stiamo di
fondo decidendo nulla, perché quella decisione o è già stata presa, o, peggio, non porta a nessuna vera
conclusione.
Avrei potuto continuare citando e scrivendo di Rachel, Jack and Ashley Too, Demone 79, Gente
comune, USS Callister: Infinity (gli ultimi due appartengono all’ultima stagione), ma penso che i sei
episodi trattati “rispecchino” in maniera perfetta lo sfondo sociale che la serie vuole denunciare: Black
Mirror di puntata in puntata cresce senza avere in prospettiva la morte del prodotto (nonostante forti
alti e bassi) e non smette, anche nelle puntate non menzionate, di guardarci dentro più che guardare al
futuro. Non ci mostra solo cosa potrebbe succedere, ma cosa SUCCEDE, solo in forme più sottili, quasi
filosofiche e ogni episodio ci spinge a riflettere sul nostro rapporto con la tecnologia, con noi stessi,
con gli altri e, soprattutto, con la società. È uno specchio nero, scomodo, ma forse necessario.
Che siano i social o l’intelligenza artificiale, una cosa è certa: Black Mirror li sta già vivendo.

Informazioni su Nicola Adamo 1 Articolo
Nicola Adamo, 28 anni, è nato a Mazara del Vallo, vive a Trapani ed ha una forte passione nello scrivere in terza persona anche quando dovrebbe farlo in prima. Laureato in Discipline delle Arti dello Spettacolo, con specializzazioni in Recitazione e Discipline cinematografiche, coltiva da sempre un profondo amore per il cinema e le serie TV, soprattutto quelle in cui, in maniera semplice ed in modo non troppo diretto, evidenziano una situazione sociale non lontana dalla nostra. Da qualche tempo si dedica anche alla scrittura come soggettista cinematografico, vantando l’accredito, anche della sceneggiatura, del cortometraggio “Il mistero dei Sant’Elno”. Appassionato di sociologia, ama osservare la società attraverso lo sguardo della macchina da presa, cercando storie che raccontino l’animo umano e le sue trasformazioni: non esiste mutazione umana di cui il Cinema non riesca a parlarne.

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