“A serious man”: i fratelli Coen e il senso della vita

di Sandro Russo

Il ciclo binario dedicato ai fratelli Coen, all’ultimo corso di Gianni [1](che ancora prosegue, con Gus Van Sant) ha previsto questi sei film:
– Arizona Junior, 1987;
– Fargo, 1996;
– Il grande Lebowski, 1998;       

– Prima ti sposo, poi ti rovino, 2003;
– Non è un paese per vecchi, 2007;
– Burn After Reading (A prova di spia), 2008.

Altri, anche importanti sono stati lasciati indietro, affidando alla curiosità dei discenti l’eventuale approfondimento; tra questi, molto citati a lezione, L’uomo che non c’era (2001) e A serious man (2009).
Qui di seguito degli appunti “omerici”[2] di Sandro, pubblicati all’epoca dell’uscita del film.

Joel e Ethan Coen

E’ stato il principale rovello dell’uomo fin da quando è comparso sulla Terra. Ha permeato miti e leggende. In ordine decrescente di sacralità è stato alla base delle religioni che – beate loro e felici i loro seguaci – hanno risolto ‘definitivamente’ il problema: sebbene ciascuna a modo suo! Se ne sono occupate le filosofie e le produzioni letterarie di ogni tempo e cultura. Buon ultimo se ne è appropriato il cinema, che ha proposto un caleidoscopio rutilante di variazioni sul tema.
Parliamo, ovviamente, del senso della vita. Un tema tanto alto e coinvolgente, forse, da non poterne parlare seriamente. Infatti…

La lista dei film che ne hanno trattato sarebbe troppo lunga, così ci limitiamo a quelli che più ci hanno coinvolto, con svolgimenti e registri quanto mai vari: drammatici, come ne ‘Il posto delle fragole’ di I. Bergman (1957); comici e irridenti, come ‘Il senso della vita’ dei Monty Python (1983); leggeri, nel film di Marc Forster (2006) ‘Vero come la Finzione’; metaforici e surreali, in ‘You the living’, 2007, di Roy Andersson; sarcastici e corrosivi come in quest’ultimo film dei fratelli Coen: ‘A serious man’ (2009).

Il film ci precipita fin dal suo inizio – un siparietto alla Isaac B. Singer ambientato in uno stetl della Russia dell’ottocento e usato come prologo – nel cupo della cultura ebraica, dei suoi riti, delle sue tradizioni.
Il tema apparente del film sembra riguardare i modi in cui la parola di Hashem si manifesta all’uomo (secondo la religione ebraica il nome del signore non va mai nominato, per cui HaShem (il Nome)]
Trasferita quindi la scena nell’America del 1967 – l’epoca in cui i due Coen erano loro stessi ragazzi – vediamo come Hashem mette alla prova la pazienza di un uomo qualunque – Larry Gopnick, novello Giobbe – buon praticante della sua religione e probo membro della comunità.
Il buon Larry vive in una linda casetta americana a schiera, col giardino intorno; ha una moglie, due figli, un fratello strampalato e nullafacente in casa, e fa il professore di matematica e fisica in un liceo, in attesa di promozione. All’improvviso, senza una ragione che lui possa comprendere, cominciano ad accadergli una sequela di disavventure, di fronte alle quali è completamente sprovveduto. Il giardino gli è insidiato da un vicino guerrafondaio, ma sarebbe il meno… La moglie gli notifica che si è innamorata di un amico comune e gli chiede un gett (un divorzio rituale) per risposarsi con l’amante, che a sua volta, da buon amico, cerca di consolarlo; con risultati esilaranti…

Il figlio adolescente, invece di prepararsi al bar mitzvah (il rito del passaggio alla maturità) e imparare le litanie della liturgia ebraica, si sballa di fumo e ascolta di preferenza i Jefferson Airplane. La figlia giovinetta è perennemente scontenta e gli ruba i soldi per rifarsi il naso; il fratello elabora balzane teorie con cui partecipa a giochi d’azzardo e si mette nei guai con la legge. Sul lavoro non va meglio. Gli studenti non riescono a seguirlo nelle sue lezioni – non a caso il professor Gopnik viene mostrato nel corso di una sua dimostrazione alla lavagna del principio di indeterminazione di Heisenberg (!); quello che in termini ultrasemplificati ad uso popolare si può tradurre che al mondo nulla è certo! E ancora… Il suo passaggio in ruolo appare problematico, e uno studente coreano prima tenta di corromperlo e poi lo ricatta.

Insomma, il povero Larry si trova da un giorno all’altro sfrattato di casa, a vivere in un motel insieme al fratello; dilapida i suoi risparmi in avvocati e consulenze, ha un incidente stradale e aspetta con ansia il responso di certi esami medici…
Ma la varietà delle sue frustrazioni è infinita ed in questo i Coen sono maestri: meccanismi comici ad orologeria e umorismo nero, sotterraneo ma esplosivo.
Ma torniamo al senso della vita.
Il buon Larry davvero comincia a pensare che Hashem gli voglia comunicare qualcosa e su consiglio di diverse persone si risolve alfine a parlare con i ministri del suo culto, i rabbini; addirittura con tre di loro, di saggezza e autorità crescenti.
Mille storie si sono scritte su pellegrini che affrontano difficoltà di ogni tipo, scalano montagne e rischiano la vita per raggiungere un vecchio eremita su una montagna inaccessibile e chiedergli: – O tu, il più Saggio degli uomini… Tu che hai a lungo ponderato… Dimmi, qual è il senso della vita?
Qui l’inventiva dei Coen attinge a vette di comicità e sarcasmo ineffabili. E fornisce un significato unitario a tanti dei loro film. Dal ‘drugo’ de  ‘Il grande Lebowsky’, agli inetti malviventi di ‘Fargo’, al barbiere abulico de ‘L’uomo che non c’era’, e agli altri che abbiamo amato/odiato in tutti questi anni… Tutti personaggi coinvolti in una immane vacuità di senso, in cui i poveretti si barcamenano alla meno peggio. Con l’irritante sospetto che la storia messa in scena possa essere quella di tutti.
Poi, nel film dell’uomo serio, per Larry il vento cambia e tutto sembra avviarsi verso un lieto fine di riconciliazione. Ma chi può dirlo? È possibile che il vento cambi ancora… E che vento stavolta!

Post scriptum

Ammetto che ‘noi di Omero’ siamo più sensibili di altri a questi temi.
Nel maggio scorso abbiamo sentito Javier Argüello parlare della ‘realtà’ come di un concetto che si presta a molteplici ipotesi in fisica, e nessuna definitiva; e di come la letteratura fantastica possa essere una modalità di approccio a questa entità inafferrabile.
Si accennò in quella occasione alla ‘teoria delle stringhe’ (Nambu, Nielsen e Susskind, 1970), e alla ‘teoria degli universi multipli’ (Many Worlds Interpretation, MWI), formulata dal fisico Hugh Everett III (1957) come spiegazione ultima alla meccanica quantistica.
Ma i cultori della letteratura fantastica avevano già familiarità con queste idee da Jorge L. Borges [‘Il giardino dei sentieri che si biforcano’ in ‘Finzioni’ (Ficciones, 1944); i lettori di ‘fantascienza’ ne conoscevano altri aspetti dalla frequentazione di Clifford D. Simak (il suo ‘City’ è del 1952).
Un tema interessante, quello se la fantasia non precorra di gran lunga la scienza e la realtà stessa, ma non è questo che ci interessa adesso.
Più recentemente abbiamo ascoltato con gran piacere Bernard Quiriny (Racconti Carnivori; Edizioni Omero, 2009) a cui invece il mondo serve ben reale, per poterci fantasticare sopra…
Reale o meno che si possa considerare il nostro universo, sulla mancanza di senso sono invece tutti d’accordo…
E i Coen – non da ora – sono nello stesso folto gruppo…
Wellcome to the Coen brothers! Lunga vita a loro!

NOTE

[1] Gianni Sarro tiene da diversi anni dei Corsi di Cinema presso la Libreria
Tra le Righe, Viale Gorizia 19 – Roma
[2] Omero è una nota Scuola di Scrittura di Roma.

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