Sidney Poitier. Il mito dell’illusione delle parità.

di Pino Moroni

Negli anni ’60, in quella fucina di idee che avrebbero aperto gli orizzonti del mondo, ebbe un posto fondamentale anche la liberazione ed il riconoscimento dei diritti dei neri. E per chi ha vissuto quegli anni di fermenti veraci e con le parole od i piccoli fatti ha partecipato a quelle lotte ideali per ogni tipo di libertà, un attore appena scomparso, rappresentativo di quelle battaglie, Sidney Poitier, con le sue interpretazioni moderate ed intense ma sempre persistenti, è stato basilare per una profonda formazione di lotta per la tolleranza e la non violenza.

Poitier ha rappresentato sullo schermo, anche per merito di registi bianchi illuminati, l’afroamericano più colto, più intelligente e più saggio di tutta la galleria di bianchi, di ogni ceto sociale, con i quali ha avuto a che fare. A cominciare già dai film La banda degli angeli (1959) e La parete di Fango (1958), i cui coprotagonisti erano niente di meno che Clark Gable, nel seguito ideale della guerra civile di Via col vento e Tony Curtis, mattatore indiscusso dei peplum e delle commedie degli anni ’50.

Già in questi film, il primo di Raul Walsh (un grande facitore di western ed action movie) in cui alla fine della guerra civile nel sud non è finita la schiavitù ma inizia anche con “gli angeli del nord” l’apartheid e la discriminazione razziale. Sidney Poitier crea già qui, conscio della sua condizione di inferiorità, l’emblema dell’orgoglioso ed illuminato afroamericano, che fa ancora scuola nei film odierni. Preludendo la dottrina di Martin Luther King e di tutti i neri che hanno lottato ‘con onore’ per la parità. Nel secondo di un grande produttore dell’epoca Stanley Kramer (Vincitori e vinti, Questo pazzo pazzo mondo) la fuga da un campo da lavoro di un bianco ed un nero, ammanettati insieme è l’apologo più giusto per mostrare quanto ci sia bisogno di collaborazione tra razze diverse in questo mondo interconnesso.

Un film che ho amato molto e ne ho già scritto è Paris Blues (1961) dell’eclettico regista Martin Ritt sulla musica jazz a Parigi con Sidney Poitier (il più bel nero ebano mai visto) e Paul Newman (il più bel bianco di Hollywood). Anche qui al di là della buona collaborazione tra i due artisti, della musica e dei loro amori, nella recitazione di Poitier occhieggia un forte senso di disagio. Malgrado la gran libertà e la vita felice di Parigi, i profondi cambiamenti di un’epoca che privilegiava più l’impegno che il divertimento porteranno il musicista a ritornare in America per combattere contro la forte segregazione razziale dell’epoca.

L’Oscar arrivò a Poitier nel 1963 con I gigli del campo di Ralph Nelson, per la sua interpretazione scorbutica ma umanissima di un vagabondo che aiuta cinque suore, fuggite dalla Germania est in Arizona, a costruire una cappella. Diventerà l’attore più famoso e più pagato nel 1967 quando finalmente si stanno rompendo molti schemi sempre ripetuti ad Hollywood. In Indovina chi viene a cena di Stanley Kramer sul quale fioccarono, interesse per le tematiche, critiche positive e premi in tutto il mondo (anche il David di Donatello per il miglior produttore a Stanley Kramer) e La calda notte dell’Ispettore Tibbs di Norman Jewison (Il violinista sul tetto, Jesus Christ Superstar) con cinque premi Oscar, incassi favolosi e due sequel di successo.

Indovina chi viene a cena è quasi una sit-comedy che si svolge tutta nella casa di San Francisco di una famiglia agiata liberal (madre Katherine Hepburn, padre Spencer Tracy). La figlia Joanne ha conosciuto il dottor John Prentice alle Hawaii (Poitier) e vorrebbe l’approvazione dei genitori prima di sposarsi. Ma il padre è preoccupato delle palesi difficoltà cui potrebbero andare incontro (a differenza della madre che ha capito il sentimento dei due giovani). John dovrà anche combattere contro l’opposizione della sua famiglia. Finché il padre di lei (Spencer Tracy al suo ultimo film) con un discorso capolavoro convincerà sé stesso e gli altri che sono due giovani speciali e vanno appoggiati nella loro difficile decisione. “L’amore non è un problema di colore della pelle”. Per questo emblematico film e non solo Sidney Poitier nel 2009 ha ricevuto dal Presidente Obama la medaglia presidenziale, la più alta onorificenza USA “per il suo impegno contro le discriminazioni attraverso l’arte cinematografica”.

Ed infine il film che ha reso famoso per sempre Sidney Poitier La calda notte dell’ispettore Tibbs ed ha portato la bellezza, l’eleganza e l’intelligenza di un ispettore nero nell’immaginario collettivo dei film polizieschi. Virgil Tibbs è un ispettore della Polizia Federale inviato per risolvere un delitto nel profondo sud, Si scontrerà per contrasti di idee e di pelle con un capo della polizia locale (Rod Steiger) ed avrà ragione riconosciuta dal suo avversario. Il film è un franco e sincero discorso sui pregiudizi razziali, come non si era mai fatto. E passeranno poi molti anni prima di continuare a parlare così chiaramente di questo problema. Lo stesso Poitier ha vissuto allora l’illusione di una parità fra bianchi e neri che purtroppo ancora non è avvenuta e lui stesso è tornato alle Bahamas da cui era partito.

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