FEFF 27: C’eravamo tanto amati

Il Far East Film Festival è in parabola discendente o è solo un anno sfortunato?

Il Far East Film Festival è una vetrina per il cinema asiatico, che può avere annate più o meno buone, ma quest’anno al festival di Udine è mancato qualcosa.
Film mediocri, poca organizzazione, forse è ora di cambiare: variare i distributori con cui si lavora, dare più spazio alle cinematografie emergenti, creare un mercato in cui questi film possano trovare una distribuzione e professionalizzare i volontari che lavorano al festival. Inoltre, il Far East Film Festival sembra essere attanagliato dai film cinesi, sempre più propagandistici e orientati verso un pubblico occidentale, come il film che ha vinto, Her Story, e opere giapponesi di poco conto. in un’annata dove i film più interessanti erano coreani o di altre nazionalità, come il film dalla Mongolia Silent City Driver e il filippino Diamonds in the Sand.

I film e il pubblico come giuria

Le opere in questa edizione non hanno brillato; inoltre, il pubblico sovrano ha decretato come vincitore Her Story, un film divertente, ma che potrebbe essere tranquillamente girato a Roma, a New York o a Parigi. La storia di una madre single, che poi non lo è perché è semplicemente divorziata con un marito anche molto presente nella vita della bambina, forte, indipendente, giornalista di politica e di costume, non è veritiera della realtà cinese odierna, per quanto riguarda il rapporto uomo-donna. La Cina ha il grosso problema di contrastare la crisi demografica, facendo ritornare le donne a non lavorare, sono state le prime a pagare la crisi economica del 2020 e che, con tassi del 2023 in peggioramento, avevano l’occupazione femminile al 60,5% contro il 72,1%, comunque più alto dell’Italia. Onestamente, la scena in cui si mangia al ristorante e si parla di mestruazioni, o uomini cinesi che dicono di essere privilegiati per il loro sesso, mi sembra un modo di catturare il mercato occidentale dello streaming, sempre più attento a promuovere la diversità e i prodotti al femminile, più per ragioni di mercato che per vero interesse di sguardi autoriali. Inoltre, anche Her Story, con la sua approvazione del Comitato Centrale, è un tentativo di far passare l’idea che la Cina sia progressista su questa questione.
Si apre la questione: è giusto che in un festival come il FEFF sia il pubblico a decidere? È il momento di creare una giuria? I film che il Far East Film Festival propone, possono essere capiti dal pubblico? D’altro canto, chi lo frequenta sono solitamente persone con una cultura cinematografica elevata, interesse per il mondo asiatico e conoscenza di questo. Ma anche questo pubblico può essere influenzato dal momento storico o da un’annata non eccezionale. Non c’è una risposta, ma forse è arrivato il momento giusto per riflettere su questo.

Cina e Giappone

Il Far East Film Festival sembra essere attanagliato dalle due industrie asiatiche principali, quella cinese, sempre più ricca, con mezzi di produzione e molte risorse. Quest’anno sono arrivati molti film propagandistici che rispecchiano poco la realtà cinese. Ad esempio, un film come Clash, su una squadra di football americano amatoriale, diventa metafora per parlare di una Cina, dove l’unione fa la forza e dove l’eccellenza vince sempre, anche se si è gli ultimi della società. L’opera ricalca perfettamente i film sportivi occidentali: all’inizio la squadra fa schifo, poi arriva un allenatore qualificato, un occidentale che però si è trasferito in Cina e parla mandarino, rischia lo scioglimento, il protagonista si mette troppo in mostra e fa arrabbiare i suoi compagni, fino all’agognata vittoria. Insomma, 4 sotto zero in versione cinese.
Tra i film cinesi, l’unico degno di nota è My Friend an Delie, perché è un film intimista che non parla di società, ma di amicizia, lutto e del passato.
Il Giappone schiera un maestro come Yoshida Daihachi, che ha portato un bel film, Teki Cometh, complesso, con una visione interessante sulla vecchiaia che sfocia nel mondo dei sogni e del subconscio, che evidentemente non è stato capito dal pubblico. Gli altri film presenti erano tutti sui giovani e sull’amore, visioni mozzate o poco profonde della società giovanile giapponese. Good Luck, di Adachi Shin, sceneggiatore molto conosciuto in Giappone, risulta un film incompleto, con una protagonista fastidiosa, alcune scene interessanti che richiamano il cinema di Nanni Moretti, il cinema sperimentale e un riferimento cinematografico pesante come Prima dell’alba di Richard Linklater. She Taught Me Serendipity, See You Tomorrow e Rewrite sono molto simili tra loro: chi ha la specifica del lutto, chi dei giovani artisti, fotografi, e chi dei viaggi nel tempo. Vorrebbero darci un quadro sui giovani giapponesi, ma tutte le opere in questione risultano molto superficiali nel modo di rappresentarli e i personaggi non riescono ad avere un reale spessore psicologico.

Corea e altre industrie cinematografiche

Sappiamo che la Corea del Sud importa buon cinema e che l’industria cinematografica è considerata un settore di punta, con molte scuole di cinema e fondi, tutti film avevano qualcosa da dire: il dramma The Land of Morning Calm, su un paesino di pescatori che intreccia un mondo che non c’è più e senza più possibilità, con il dramma della migrazione dalle Filippine, specie delle spose che vengono comprate dai coreani; About Family, commedia divertente e di buoni sentimenti, che a volte scade in momenti trash, ma con una storia ben costruita, che tocca dei picchi quando si parla di emozioni e dei momenti storici della Corea del Sud; e poi molto bella l’animazione di The Square, progetto realmente interessante di animazione storica, come Valzer per Bashir, senza però arrivare a quei picchi, parlando di Corea del Nord, di cui il pubblico occidentale sa così poco. C’è sempre un maggiore interesse per i festival sull’animazione documentale, quindi il FEFF è stato lungimirante a volere questo film e speriamo che nelle prossime edizioni ci siano più prodotti così.
Il Far East Film Festival quest’anno aveva la possibilità di promuovere industrie di paesi emergenti perché i prodotti erano buoni: il thriller tailandese The Stone, sul mercato degli amuleti, assolutamente inedito per noi occidentali, che parte molto solido, ma poi verso la fine si perde, però rimanendo un buon film; il malesiano Next Stop, Somewhere, dramma girato in diversi paesi e in diverse epoche, che tocca anche il problema politico di Taiwan, con picchi molto alti e poetici, ma quello che rimaneva è un senso di confusione; il filippino, che tra l’altro ha vinto il premio come opera prima, Diamonds in the Sand, che parla di un uomo filippino emigrato in Giappone che torna nel suo paese, un film duro e diretto; e il film dalla Mongolia Silent City Driver, un bel film cupo, affascinante e dolente.
Taiwan si presenta scostante con Organ Child, un film pessimo, pieno di colpi di scena e buchi di trama, ma anche un bel film come Daughter’s Daughters, anche se un po’ monocorde sul melodramma. In forma è sembrata, dopo anni di debacle, l’industria cinematografica di Hong Kong, con buoni film come Montages of a Motherhood, Papa, drammi sulla genitorialità, molti tristi, ma ben costruiti e con regie interessanti. The Way We Talk, che tratta un tema non facile della disabilità, toccato in maniera inedita e anche se non si può definire un buon film, sicuramente è autoironico, intrattenente e piacevole, The Prosecutor.

Tsui Hark e Sylvia Chang

Questo FEFF 27 è stato salvato in corsa dalla presenza di Tsui Hark e dal carisma di Sylvia Chang. Il regista premiato con il Gelso d’Oro alla carriera, accompagnato dal fidato Tony Leung Ka-Fai. Il grande maestro ha portato due suoi capolavori restaurati, Green Snake e Shanghai Blues, e il suo ultimo film, Legends of the Condor Hero: The Gallants. Ha tenuto una masterclass molto ricca. Sylvia Chang, storica attrice di Hong Kong e Taiwan, anche lei è stata premiata con il Gelso d’Oro, senza però tenere la masterclass. Perché? Questi due grandi del cinema di Hong Kong sono riusciti a risollevare un’edizione scialba. Vederli così uniti e complici ci ha fatto vedere un altro aspetto dell’industria cinematografica, fatta di amicizia e generosità. Il nuovo film di Tsui Hark è un bel film, che tenta di rimodernare il wuxia e di riportarlo sulla cresta dell’onda, come nei primi anni 2000, con opere come La tigre e il dragone e La foresta dei pugnali volanti. Speriamo possa venire distribuito.

Conclusioni

Il Far East Film Festival è cresciuto, forse deve ripensare a se stesso e rinnovarsi. Ormai è diventato mille cose: un canale su Prime, la collaborazione su mymoviesone, un college per giornalisti cinematografici e le partnership con le scuole di cinema. I numeri degli spettatori e degli accrediti crescono (65.000) e anche l’onere di lavoro. Si può credere che il Far East Film Festival abbia la possibilità di rinnovarsi e di capire che direzioni prendere, puntando su nuove industrie, nuovi registi, nuovi canali di distribuzione, sul variare e sul coinvolgere i giovani nell’organizzazione, non solo come volontari, ma come parte attiva nelle decisioni.
L’atmosfera è sempre al top, la città di Udine sempre accogliente, anche se la gente ti dice che i film sono pesanti o troppo tristi, e non è poco. Da qui bisogna ripartire e da una parola che durante il FEFF viene pronunciata spesso, ma quest’anno è un po’ mancata: identità.


Informazioni su Giulia Pugliese 40 Articoli
Giulia Pugliese Scrittrice Educazione 2011 - Master in EUC Group & CEERNT European Project 2006/2010 - Laurea triennale in Cooperazione allo sviluppo Esperienze lavorative 2024 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Odeon 2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online I-Films 2022/2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Long Take Premiazioni Vincitrice del concorso di scrittura per la critica cinematografica over 30 indetto da Long Take Film Festival quinta edizione - 2023

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