
Piccole bugie tra amici
di Giulia Pugliese
Il cinema post-moderno è un inganno per lo spettatore: un film come Black Bag sembra essere chiaramente un thriller e una storia di spie, invece è qualcos’altro, una storia d’amore, un’opera sulle relazioni e sulla lealtà.
George, interpretato da Michael Fassbender, odia i bugiardi, ma è una spia, quindi in teoria per lavoro deve mentire. Questa è la prima contraddizione del film, ma ce ne saranno molte altre.
La sua vita viene scossa quando sembrerebbe che sua moglie, Kathryn, che ha il volto di Cate Blanchett, sia la talpa dell’agenzia di spionaggio per cui lavora. In George si apre un dilemma morale: aiutare la moglie o essere fedele al suo lavoro?
Sostanzialmente Black Bag è un film di spie, dove c’è pochissima azione, ma tutto viene delineato attraverso le relazioni non propriamente sane di questo gruppo di agenti segreti. Queste spie sono pieni di difetti e imperfezioni. L’opera ci dà un quadro assolutamente inedito sullo spionaggio, fatto da agenti segreti che sembrano tutto tranne che equilibrati e che mettono avanti la loro parte umana, nel meglio e nel peggio. Uno dei personaggi lo dice proprio nel film: «Sono un essere umano», e un altro dirà: «Proprio adesso che pensavo che fossi umano». Il film vuole dirci cosa vuol dire non essere una macchina, in un mondo in cui si parla di intelligenza artificiale: c’è una dicotomia tra uomo e macchina.


Steven Soderbergh costruisce minuziosamente il perfetto nido per una coppia borghese, dove il marito, quando la moglie sta per partire, le augura buon viaggio in diverse lingue, e nel tempo libero vanno al cinema. Tutto è calibrato e tutto è meticolosamente messo in scena, in ogni dettaglio. I due vivono nel lusso fatto di borse, arnesi di design e carta da parati, pronta però, ad essere sporcata per l’evenienza.
Il regista però mette in scena delle scelte non chiare: per quasi tutte le scene ci sono perennemente dei punti luce bassi, nel tentativo di dare un’immagine noir al film. Tuttavia, spesso, quello che è intorno alle luci è sgranato, non chiaro e dà un senso di fastidio. Inoltre, per segnalarci che giorno è della settimana, usa un font terribile e di cattivo gusto. Non è chiaro se doveva essere una scelta ironica, ma in un film dove tutto è studiato a tavolino, questa scelta sembra totalmente slegata e non opportuna. Ma Black Bag è un film molto umano, anche in queste sue idiosincrasie.
La storia è avvincente e ben costruita, porta lo spettatore agilmente verso la fine del film. Tuttavia, anche se il film parla di spionaggio, di perdita di vite umane e di guerra, risulta leggero e rimane poco, è quasi effimero. I personaggi, che praticamente vivono nelle relazioni, sono poco delineati e connaturati a livello psicologico. Anche l’analisi del matrimonio è manchevole, in quanto sappiamo fin dall’inizio, perché i due protagonisti lo ripetono spesso, che ucciderebbero l’uno per l’altra. Lei definisce lui la sua debolezza e sappiamo che il protagonista maschile dà alto valore alla lealtà. Non c’è nessuna sorta di crisi di relazione né una vera e propria scelta.

Soderbergh mette in scena un prodotto notevole per costruzione della trama, messa in scena e regia (inquadrature spesso sbilenche, porte che bloccano personaggi e carrelli a 360 gradi), di cui però non è chiara la motivazione, che manca sia nel lato action che nel lato romantico. Alla fine ne esce appunto una coppia di borghesi annoiati che si divertono a fare giochetti con gli amici.
Steven Soderbergh ha avuto picchi più alti, sia come livello di profondità che come riflessioni sul presente. Nel bene e nel male, il regista americano ha influenzato l’immaginario degli anni ’90 e dei primi anni 2000. Ma sembra che nell’ultimo periodo non trovi una quadra. Speriamo che il prossimo sia il progetto giusto, perché in questo sembra annoiato come i suoi protagonisti. Un po’ più di trasgressione, come in Sesso, bugie e videotape, e un po’ più di ironia con la saga degli Ocean’s, non avrebbero guastato.
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