I Gangsters ( The Killers) di Riobert Siodmak, 1946
di Letizia Piredda
E’ un noir basato sul romanzo omonimo di Ernest Hemingway. Tra i maggiori successi di Siodmak, il film racconta in flashback la ricostruzione degli eventi che hanno portato all’assassinio di un ex pugile affiliato ad una banda di gangster. Il cast include nomi prestigiosi come Burt Lancaster e Ava Gardner. Nel 1964 Don Siegel ne girò un remake intitolato Contratto per uccidere.
In realtà, in prima battuta, questo film sembra poco un noir e più un poliziesco: infatti c’è un’indagine che, attraverso molteplici flashback, dura per tutto il film. Ma se considerato come un poliziesco, c’è un elemento assolutamente incongruo: il fatto che il protagonista (lo Svedese) praticamente non è ucciso, ma si fa uccidere dai killer, cosa assolutamente inaccettabile per i canoni del genere. E ancora, come noir ci sono alcuni elementi, ma non proprio tutti gli elementi più tipici. Sì, la femme fatale c’è, l’onirismo inteso come bianco/nero fortemente contrastato c’è, ma non l’onirismo più psicologico, quello inteso come continuo fluire da sogno, veglia, dormiveglia.
Quali sono dunque gli elementi principali che caratterizzano il personaggio dello svedese? Vediamoli uno ad uno:
– è un uomo finito come pugile (e di conseguenza trattato come qualcosa da
buttar via)
– è ammaliato da Kitty per la quale accetta di fare una rapina a mano armata
– tenta il suicidio quando Kitty fugge con il bottino
– è tradito da Kitty e da Colfax che nel frattempo si sono sposati e sono
diventati una coppia rispettabile
– è tormentato perché non si perdona di aver fatto un errore fatale, di fronte al quale non c’è più niente da fare: non ha più via di scampo, e questo lo porta a un gesto estremo (cioè si fa uccidere dai killer di Colfax).
L’insieme di questi elementi ci porta ad alcune considerazioni importanti:
è un personaggio in gabbia, senza via di scampo, tradito da Kitty e da lei raggirato, da lei usato per poter fuggire con il bottino e realizzare il piano architettato da Colfax per lei. Vittima sacrificale, finito, senza possibilità di riscatto, perché non può perdonarsi gli errori commessi.
A sottolineare questo aspetto converge tutta la messa in scena: non c’è contrasto buio/luce tra dentro e fuori; sia l’interno che l’esterno sono buio/buio: e questo delinea l’atmosfera cupa dell’impossibilità di riscatto. Addirittura quando i killer sparano nella stanza semibuia dello svedese, l’unica luce sono proprio gli spari.
Ci sono poi alcuni elementi tipici dell’espressionismo, come la mano che scivola inerte lungo la colonnina del letto, quando lo svedese muore.
Ora tutto questo ci sembra assolutamente in linea con l’atmosfera del noir, che, va ricordato, è un genere composito dove convivono più generi come il poliziesco, l’horror, il thriller, e che, in molti casi, non è facile tracciare una linea di confine netta l’uno dall’altro.
L’uso dei flashback di ben sette personaggi diversi ci riporta a Citizen Kane: ma non è solo questo l’elemento in comune; c’è anche il taglio giornalistico e la profondità di campo, usata da Siodmak più per addensare le fasi di un’azione senza stacco, che per rappresentare più azioni su diversi piani.
A sottolineare la maestria tecnica del regista basti il confronto della stessa scena (la rapina) in due film diversi:
1) In I Gangster la scena della rapina viene letta, dall’articolo di cronaca, dal capo delle assicurazioni e ripresa dalla macchina da presa a distanza, con un effetto distanziante per lo spettatore, che assiste ma non partecipa alla scena.
2) In Doppio Gioco (Criss Cross,1949), invece, la scena della rapina è ripresa dall’alto (“l’occhio di Dio”) (*) con un effetto che attira verso il basso lo spettatore (effetto vertigine) che, di conseguenza, viene coinvolto fortemente nella scena.
(*) In ambito cinematografico, l’espressione God’s Eye (Occhio di Dio) viene comunemente adoperata per indicare quel particolare tipo di ripresa effettuata dall’alto, in maniera perfettamente perpendicolare alla scena, in cui gli accadimenti non vengono mostrati dal punto di vista di un particolare personaggio (o un altro elemento), quanto da quello del narratore onnisciente.