di Letizia Piredda
Finalmente un film che ci colpisce per la sua linearità e insieme per la sua stratificazione.
Finalmente un film in cui il lato oscuro dell’essere umano (che troviamo in tutte le salse nella maggior parte dei film attuali) e il suo opposto sentimentale, si trovano sotto un unico tetto.
Presentato a Venezia ’80 fuori concorso (avevano paura che facesse fuori molti dei film in gara!) il film di Linklater ci apre il cuore alla speranza.
Ma perché ci colpisce tanto un film come Hit man?
Forse perché riesce a staccarsi in modo netto dal brutalismo barbarico di fondo del cinema contemporaneo.
Forse perché riesce a mettere insieme il noir e la screwball comedy, come dice lo stesso regista, la lezione del cinema “classico” e le regole di genere, con l’improvvisazione sempre in agguato da parte degli attori.
Forse perché è un prodotto unico cesellato in tandem da un sodalizio eccezionale tra regista e attore che hanno scritto a quattro mani la sceneggiatura.
Forse perché oltre alla decostruzione di un genere, è anche una riflessione su questioni esistenziali.
Si, infatti Gary Johnson, il protagonista, professore di filosofia e psicologia all’Università di New Orleans ci invita ad una riflessione sulla nostra identità. Flirtando con Nietzche e Freud (ha due gatti che si chiamano “Es” e “Io”) pone la domanda se conosciamo il nostro sé e come reagiremmo, scoprendo che il nostro sé è solo una costruzione sociale, un ‘illusione, una finzione. E se è una finzione, tanto vale cambiarlo, come succede a lui che viene praticamente costretto ad iniziare una seconda vita come falso sicario in collaborazione con la polizia di New Orleans.
Ma la cosa prende una svolta del tutto imprevista: Gary il professore è sfigato come tutti i professori, mentre Ron, il falso sicario, è un duro, sicuro di sé, e soprattutto attraente. La finzione prende il sopravvento: e sarà l’incontro con Madison, la femme fatale che lo renderà consapevole della forza che gli viene da questo nuovo sè.
Il noir dovrà cedere un po’ di spazio alla commedia, ma non troppo, per trionfare e chiudersi come una black comedy con un continuo susseguirsi di colpi di scena, all’insegna di una sottile sempre presente autoironia.
Lunga vita ai film come Hit Man e lunga vita ai suoi bravissimi creatori!
Un cocktail di noir e screwball comedy …senza aggiunta di brutale brutalismo…correrò a vederlo.
Grazie Letizia