Un giorno di Pioggia a New York. La cultura e l’ignoranza nell’universale alleniano.

di Pino Moroni

In questo periodo, in cui non abbiamo la possibilità di vedere film nuovi, riteniamo utile pubblicare recensioni di film, anche recenti, ma che non abbiamo potuto inserire al momento, o di film più datati che però consideriamo film di spessore che meritano di essere visti. La prima a cui diamo spazio è la recensione del film di Woody Allen Un giorno di pioggia a New York , 2019 di Pino Moroni che collabora con altri siti, tra cui Artapartofculture.it

Al di là della bellezza estetica di New York, piena di atmosfere oniriche, fotografate splendidamente da Vittorio Storaro, e della perfetta sceneggiatura, ricca di evoluzioni di eventi metereologici ed umani, basta soltanto il ripetuto tema universale alleniano a far bello ed attuale l’ultimo film di Woody Allen: “Un giorno di pioggia a New York”.
Dalle origini del suo percorso artistico, ormai di oltre cinquanta anni, la cultura e l’ignoranza, presi in giro da quel particolare umorismo made Woody Allen sono stati il leitmotiv della creatività dei suoi film.

Il pensiero intellettuale di Allen è quanto di più duraturo ed anche attuale in tutta la produzione cinematografica dagli anni ’60 (quando scriveva libri e sceneggiature all’inizio di un’epoca storica pensante) fino ad oggi, all’alba di un cambiamento tecnologico epocale. Per cui dire, come fa un certo tipo di critica, che Un giorno di pioggia a New York ripete sempre la filosofia e gli stilemi alleniani è come dire che Woody in fondo ha sempre affrontato un tema universale che non avrà mai fine, anche attraverso più epoche di pensiero e scienza.

Cultura ed ignoranza sono in quest’ultimo film la dicotomia su cui si fonda la vita fatta di pensiero e sentimenti di due esseri umani, anzi di due giovani innamorati che da un college vanno a New York. Un ragazzo newyorkese (Timothée Chalamet) forzato fin da piccolo a leggere classici, vedere musei, frequentare cenacoli letterari ed artistici e locali di buona musica, che vede New York a questo livello culturale, con nonchalance, quasi con noia, apatia.

Una ragazza dell’Arizona (Elle Fanning), carina e brillante, che scrive per un giornale universitario e colleziona interviste famose, ma (come avviene oggi) corre dietro, con leggerezza al fatto contingente, agli eventi mediatici, al gossip più banale, allo scoop a tutti i costi. 

Elle Flanning e Timothée Chalamet in Un giorno a New York, 2019

Conosce personaggi famosi e se ne innamora, li adora, ne imita la loro vita e con semplicità e superficialità cede alle lusinghe di un mondo sognato, falso, corrotto, infelice ma celebre. Entrando dentro le fotografie, le riprese, le idee, le parole, le macchine, le case e gli altri status symbol, facilmente assimilabili, che invadono ogni giorno la nostra vita.
Quel mondo, di cui esempio più importante è, per Woody Allen, la Hollywood strapagata e senza idee, fatta di registi, sceneggiatori, attori fatui, presuntuosi e ignoranti, accompagnata sempre da un mass media (giornali, televisioni e social) influencer-pilota dei cretini di massa.

Un film che ancora una volta rivela attraverso il suo alter ego il protagonista Gatsby (non a caso citando il protagonista del romanzo di Scott Fitzgerald) il suo amore per la cultura, che ci fa vedere a sua volta, con il sole o con la pioggia, in interno o all’esterno, attraverso momenti magici, quell’Anima Universale che possiede New York (e nessun’ altra città).

Timothée Chalamet e Selena Gomez in Un giorno a New York, 2019

Una informazione sul fare cinema di Woody Allen: chiunque lavori con lui, anche le star più celebri, prende solo il minimo salariale. E guardando la sua lunga produzione ce ne sono di famosi che hanno accettato, ridimensionando le loro pretese.

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