Festa del Cinema di Roma – Las mejores familias. Un film o una telenovela?

di Pino Moroni
Artapartofculture.net

L’America latina diventa insopportabile quando vuole esportare le sue telenovelas al cinema, camuffandole da vita reale, con strategie da commedia all’italiana o commedia degli equivoci francese. Quanto di peggio delle saghe di famiglia in cui covano decennali o centennali segreti con tradimenti intrecciati tra parenti e servitù, figli illegittimi, e per essere moderni ora gay che si sposano con attrici straniere adottate.
Las Mejores familias di Javier Fuentes-Leon (coproduzione Perù-Colombia) presenta una vita quotidiana, piena di maggiordomi, di dame di compagnia, serve e lavoranti, scandita da colazioni a letto, pranzi e ricorrenze ufficiali ed ogni altro vizio (inclusa la droga) che una società facoltosa offre a chi non ha niente da fare tutto il giorno.

Mentre movimenti di operai fuori (ribelli da arrestare dicono in famiglia) marciano nei quartieri benestanti di San Isidro a Lima, fermati dalla polizia con i lacrimogeni. Rimane l’impressione di una vacuità ridicola di cui è pieno il film, che voleva con questo far ridere con personaggi dell’‘800 ancora imperanti nelle storie latinoamericane.

Nella sua intervista per la Festa del Cinema il regista Javier Fuentes-Leon ha detto che il film è lo specchio della società, in particolare di Lima e delle persone del Perù in generale.

E l’ha voluto mostrare in commedia come telenovela umoristica per far riflettere le persone su quello che viviamo. Il pubblico – ha continuato – si dovrebbe vedere allo specchio con tutti i suoi difetti atavici e scoprirsi e cambiare da sé senza che qualcuno gli faccia la morale. In Perù però ha riconosciuto esiste ancora una colonizzazione, esistono gruppi sociali che hanno rinnovato il colonialismo: ci sono gruppi aristocratici facoltosi e classi povere ed emarginate.

Unica idea originale, per delineare una società con macchine di lusso e cellulari ma ancora indietro nel suo sviluppo mentale, civile e politico, è quella della casetta in condominio tra di loro, costruita come un bunker per paura delle bombe russe della guerra fredda (sic!), in cui le due famiglie aristocratiche che abitano le due belle ville di San Isidro, si ritrovano spesso per aggiornare la loro soap opera. E nella quale si chiuderà anche il film con le vecchie intriganti matriarche a decidere il destino dei giovani, quasi una pletora di comparse che vogliono solo prolungare il dolce far niente e gli altri vizi cui sono soggetti.

Assolutamente nessuna presa di coscienza! Perfino l’attrice spagnola, di oscure origini locali è ansiosa di suonare il campanello per la servitù.

Un film, in conclusione dove la amoralità è trattata come inevitabile, divertente e senza fine. E le coppie con figli o senza, gay e non, sembrano partecipare alla storia per caso, svogliati ed alienati in una bolla dorata, mentre le domestiche lavorano all’inizio ed alla fine, come se nulla fosse accaduto.

Ed infatti, malgrado una sceneggiatura piena di eventi e sorprese, non c’è niente di importante da ricordare, da poter riflettere. Non c’è spazio per nessun cambiamento, malgrado tutto, attraverso una strategia circolare tutto rimane come sempre.

Lo stesso produttore del film nell’intervista alla Festa del Cinema ha ricordato la frase del Gattopardo italiano “Tutto cambia perché nulla cambi”. Come sembra lontano per noi il principe di Salina, mentre gli aristocratici, il ceto dominante ed agiato peruviano viene descritto come vivere ancora quell’epoca. O è solo la storia ripetuta di una telenovela latinoamericana?

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