Flags of our fathers: Post Office

di Antonio Celli

Abbiamo rivisto il dittico di Clint Eastwood sulla guerra nel Pacifico , e Gianni Sarro ci invita a qualche riflessione sulle immagini. Ecco le mie.

Scorrono i titoli di coda e la voce del  vento è oramai entrata nell’impasto sonoro che li accompagna: sul lato sinistro dello schermo le fotografie di Joe Rosenthal si susseguono con ritmo rispettoso , mentre sul lato destro i crediti ci danno le dovute informazioni .

Un’immagine tra le altre attrae la mia attenzione: non di bandiere, di eroici assalti, di armi letali , di morte . Due militari terminano di tracciare le lettere di un scritta   POST OFFICE e sulla riga inferiore IWO JIM  (la scritta è da completare): è un cartello che ci rimanda ad una quotidianità senza divisa e lo possiamo percepire come un rinvio alla seconda parte dell’opera (Lettere da Iwo Jima) centro di un gioco di specchi tra le due realtà, quella degli attaccanti e quella dei difensori.

In questo caso il tema potrebbe essere la “forma” della comunicazione : da una parte quella epistolare, individuale ed introspettiva, evocatrice del tempo , perché legata alla memoria, ed alla sfera affettiva; dall’altra quella pubblica , con l’immagine della bandiera vittoriosa, produttrice di un mito che, al di là degli eccessi deformanti che tanto ci irritano, risponde pienamente alla necessità di rassicurazione e di coinvolgimento di una società ormai stremata dallo sforzo bellico.

All’interno di questa duplicità si verifica il ribaltamento, perché lo specchio duplica e ribalta: la comunicazione individuale è associata prevalentemente al combattente giapponese ,che affronta coscientemente il sacrifico per l’Onore e per l’Imperatore , come dovere sociale; dall’altra parte il combattente americano, che come ci rivelano le parole del film, combatte per se stesso e per la salvezza propria e dei suoi amici , e si trova sospeso tra la realtà dell’azione vissuta e l’immagine che se ne crea, menzogna con alto valore sociale, e quindi eticamente corretta e giustificabile.

Ma ogni immagine, se considerata rappresentazione della realtà, è per sua natura “menzogna”: in quanto relativa alla superficie, in quanto parziale, in quanto frutto di una scelta soggettiva, in quanto sottratta al tempo. Rappresenta solo se stessa.

Giusto, non è una pipa, e d’altra parte questo non è un quadro di Magritte; ma  non è importante che sia una pipa, o la vera bandiera vincitrice, quanto che sia un simbolo (o una bandiera) portatore di energia e nuova determinazione.

La fondazione del Mito [1] vista nella sua fase aurorale, con la cosciente gestione della immagine e la progressiva consapevolezza ,da parte degli involontari eroi ,degli stretti confini della “verità”, corrisponde, nel suo speculare riflesso, alla disgregazione  di una verità mitica e di una visione del mondo fuori dal fluire della storia , dal presente , in cui non ci si può comunque sottrarre all’obbligo morale del sacrificio : la società lo considera un dovere su tutto.  Gli affetti non vengono esclusi, anzi, accompagnano da vicino  le esistenze e con loro il dialogo epistolare si fa profondo ; anche se le carte rimangono inevase, temporaneamente seppellite nelle polveri del conflitto , sarà il vento, alla fine, a riportarle in alto , liberandole nell’aria ; lo stesso vento che agita le bandiere, che  è presente nella colonna sonora con suggestioni e rimandi  ,elemento della natura o rimando sonoro a Via col vento, in cui la Guerra di Secessione è momento fondativo di una identità nazionale. Libera ed unifica.


Note

[1]da Diz.. Quanto è capace di polarizzare le aspirazioni di una comunità o di un’epoca, elevandosi a simbolo privilegiato e trascendente)

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