Alberto Crespi e la passione per i western.

la Redazione

Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’articolo di Francesco D’Errico su Alberto Crespi, pubblicato in data odierna su Il Foglio e segnalato da Tano Pirrone.

Alberto Crespi, classe ‘57, penna dell’Unità ieri e di Repubblica oggi, è voce di Hollywood Party, su Rai Radio 3. Insieme a tanti della sua generazione, è cresciuto con i film western. Fin da piccolo, infatti, è rimasto folgorato non solo dall’irrompere sullo schermo dei cowboys, delle praterie e degli indiani, ma è stato rapito anche da quella “tensione metafisica” che dà al genere “un respiro etico e spirituale inconfondibile” (copyright Edoardo Sant’Elia). Tra una pellicola e l’altra, ha capito fin da subito che il suo cineasta preferito era John Ford. Innanzitutto per i suoi protagonisti, figure quasi mai monolitiche, sempre problematiche, non di rado sia epiche che tormentate, ambivalenti. Poi, per la sua capacità di “trasformare quello che in altre mani sarebbe un tratto parodistico in un tocco di umanità e di tenerezza pur non priva di ironia”, per l’abilità di trovare “il comico nel tragico e viceversa”. E, ancora, per le sue apparenti contraddizioni, figlie di uno spirito al tempo stesso conservatore, “libertario e anti istituzionale”, in grado tanto di celebrare e alimentare il sogno americano quanto di demitizzarlo e demistificarlo. Negli anni il giornalista non si è affatto ricreduto, anzi: la sua ultima fatica è un saggio intitolato Il mondo secondo John Ford. A proposito: avrà indugiato un attimo alla scelta del titolo? Perché non L’America secondo

John Ford? Sarebbe stato riduttivo? O per Ford America e mondo, al di là del suo amore per l’Irlanda, erano sinonimi, nel senso che il mondo per lui era l’America e viceversa? Il regista, secondo l’autore, “per gli adolescenti degli anni Sessanta che si divertivano con il sadismo degli spaghetti western e con il degrado civile dei poliziotteschi, era un monito, una lezione di morale applicata al cinema”. Sebbene sia vero che nella filmografia fordiana la morte è sempre rappresentata come un evento doloroso (“in nessuno, nei suoi film, si uccide per divertimento; la violenza è presente ma non è mai gratuita”), non siamo sicuri di condividere una valutazione così severa nei confronti di quei sottogeneri che, peraltro, nonostante l’oggettivo successo al botteghino, sono stati storicamente maltrattati dagli esperti (almeno fino alla rivalutazione tarantiniana). Crespi, in ogni caso, non si limita a una ricca analisi critica, ma si lascia andare anche al piacevole racconto delle sue avventure nei fuoristrada polverosi della Monument Valley e si diverte a citare Neil Young per descrivere il suo idolo bendato: “I never knew a man could tell so many lies / he had a different story for every set of eyes”.

Ciò che conta, d’altronde, parlando di prospettive, è che l’orizzonte non stia mai in mezzo. Altrimenti, il film diventa “boring as shit!”. Cut!
DI (FRANCESCO D’ERRICO)

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