Il Giardino delle vergini suicide. Ancora oggi un ritratto adolescenziale

di Mattia Migliarino

Sofia Coppola ha saputo distinguersi nel mondo del cinema con la sua visione delicata e unica. Figlia d’arte, Coppola ha esordito alla regia con “Il giardino delle vergini suicide” (1999), un film che già al primo sguardo mostra il suo talento nel raccontare storie complesse con delicatezza e profondità. Dopo questo debutto, ha continuato a esplorare temi di alienazione e identità in film come “Lost in Translation” e “Somewhere”. Ma è proprio con il suo primo lungometraggio che ha gettato le basi per il suo percorso artistico.
“Il giardino delle vergini suicide” è tratto dal romanzo omonimo di Jeffrey Eugenides e ci trasporta negli anni ’70, in un tranquillo quartiere residenziale del Michigan. La storia ruota attorno alle cinque sorelle Lisbon, la cui vita viene raccontata attraverso gli occhi dei ragazzi del vicinato, affascinati e ossessionati dal mistero che le circonda.
Le sorelle Lisbon simboleggiano l’adolescenza in tutte le sue molteplicità. Belle, enigmatiche e intrappolate in una fase della vita in cui l’innocenza si scontra con la realtà del mondo adulto, le ragazze sono dipinte dalla Coppola con colori tenui e atmosfere oniriche. L’adolescenza, con le sue turbolenze emotive e la ricerca di sé, è al centro della narrazione. La regista esplora il passaggio dall’infanzia all’età adulta con una delicatezza incredibile e che rivela la vulnerabilità delle ragazze, la loro lotta per trovare un posto nel mondo. Coppola riesce a catturare l’essenza della giovinezza, mostrando le sue fragilità, i suoi sogni infranti e il suo desiderio di libertà. La famiglia Lisbon è una presenza oppressiva nella vita delle ragazze. I genitori, interpretati da James Woods e Kathleen Turner, incarnano la rigidità e il conformismo della società dell’epoca. La madre, in particolare, con il suo controllo maniacale e le sue regole rigide, rappresenta l’autorità che opprime ogni tentativo di ribellione delle figlie. La regista utilizza la famiglia come allegoria di una gabbia dorata, in cui l’amore e la protezione si trasformano in prigionia e soffocamento.

Alcune scene del film

Il quartiere residenziale del Michigan, con le sue villette perfette e i giardini curati, è il palcoscenico in cui si svolge la tragedia delle Lisbon. La cineasta riesce a trasformare questo ambiente apparentemente idilliaco in un luogo di oppressione e tristezza. I prati verdi e i cieli azzurri contrastano nettamente con la desolazione interiore delle protagoniste, creando cosi un effetto straniante che amplifica il senso di emarginazione e disperazione. Le case ben curate nascondono segreti oscuri, e il contrasto tra l’esterno perfetto e l’interno tumultuoso delle vite delle ragazze diventa l’emblema potente dell’ipocrisia della società. La società degli anni ’70, con le sue aspettative rigide e i suoi giudizi implacabili, gioca un ruolo cruciale nella vicenda. I ragazzi del vicinato, che osservano e raccontano la storia delle sorelle Lisbon, rappresentano la curiosità e l’incomprensione del mondo esterno. La critica è rivolta alla società che, invece di aiutare le ragazze, le giudica e le isola ulteriormente, diventano oggetto di miti e leggende, vittime di una società incapace di capire e di sostenere.

Ma cosa rende “Il giardino delle vergini suicide” così rilevante ancora oggi?
È rilevante perché offre uno sguardo profondo sulle difficoltà dell’adolescenza femminile, un tema che continua a essere attuale. Le sfide affrontate dalle sorelle Lisbon, come l’isolamento, l’incomprensione e la ricerca di identità, sono universali e senza tempo. La critica di Coppola alla società e alle sue aspettative rigide rimane pertinente. In un’epoca in cui le pressioni sociali sono amplificate dai social media, il film invita a riflettere sull’impatto delle norme sociali sulla vita dei giovani. Il film tratta delicatamente temi di salute mentale, evidenziando il peso del silenzio e della repressione emotiva. In un’epoca in cui la consapevolezza della salute mentale è in aumento, ci ricorda l’importanza del dialogo e del sostegno. Inoltre, incoraggia gli spettatori a sviluppare empatia per le esperienze degli altri, un esercizio fondamentale in una società sempre più divisa e polarizzata. “Il giardino delle vergini suicide” non è solo un’opera di valore artistico, ma anche un film che offre spunti di riflessione profondi e pertinenti su temi universali e contemporanei. Guardarlo oggi significa confrontarsi con questioni ancora attuali, attraverso una narrazione sensibile e potente.

Informazioni su Mattia Migliarino 13 Articoli
Nato a Monza nel 1993. Nel 2019 ha conseguito la Laurea in Scienze Umanistiche per la Comunicazione presso l’Università Statale di Milano. Tra il 2011 e il 2019, ha collaborato con la rivista di musica e cinema 1977 Magazine. Successivamente ha conseguito la Laurea Magistrale in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale presso l’Università di Bologna discutendo la tesi: “L’Italia negli anni di piombo alla luce del cinema italiano”. Ha seguito vari Corsi di Cinema, tra cui il Corso di Critica Ritrovata, tenuto dal Prof. Roy Menarini.
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