Max von Sydow, l’uomo che sfidò la morte a scacchi

Riportiamo l’articolo di Roberto Nepoti , pubblicato in data odierna su Repubblica in omaggio al grande attore scomparso.

la Redazione

Da Bergman al Trono di spade. La carriera di Max von Sydow, scomparso domenica in Francia all’età di novant’anni, è stata tra le più lunghe (sette decenni) e intense (un centinaio tra film e telefilm), di certo la più eclettica che sia dato ricordare. Nato a Lund, in Svezia, da un professore di etnologia e da una baronessa, che gli imposero il nome di Carl Adolf, frequentò non ancora ventenne la scuola d’arte drammatica di Stoccolma, fece teatro e debuttò sullo schermo nel 1949 con uno dei maestri scandinavi, Alf Sjiiberg. Recitò anche per un altro grande regista svedese, Vilgot 8jiiman; ma l’incontro decisivo fu con Ingmar Bergman, che conobbe nel 1955 entrando nella compagnia del Teatro Comunale di Malmó. Due anni dopo Bergman gli affidò la parte del cavaliere crociato Antonius Block, che gioca a scacchi con la Morte in uno dei capolavori della storia del cinema, Il settimo sigillo. Dell’esigente Ingmar, Max diventò l’attore-feticcio, accompagnandolo nell’avventura di altri tredici film: dal Posto delle fragole al Volto; dalla Fontana della vergine a Luci d’inverno, da Passione a L’adultera. Tra un Bergman e l’altro, rispose alle sirene di Hollywood, accettando la parte di Gesù Cristo nel colossal evangelico La più grande storia mai raccontata (1965) di George Stevens. Dopo una parte così “impegnativa”, avrebbe interpretato tutto e il contrario di tutto: il prototipo del serial killer in L’assassino , Arriva sempre alle 10 di Lszló Benedek (adorava i ruoli da cattivo), l’esorcista padre Lankester Merrin nell’Esorcista (1973) di William Friedkin, l’antagonista di James Bond e quant’altro. Dagli anni Settanta in

Max von Sidow in L’esorcista, 1973 di William Friedkin

poi, pur senza abbandonare del tutto il cinema svedese, lavorò in prevalenza all’estero, dividendosi equamente tra film d’autore e blockbuster di vario livello. Portando, agli uni e agli altri, il contributo della sua innata eleganza, di una recitazione ricca di sfumature e di uno humour a volte ai limiti dell’impercettibile (anche nelle parti più drammatiche), che si può apprezzare rivedendo i suoi film. Lo richiesero i registi migliori di varie generazioni: John Huston (Lettera al Kremlino,Fuga per la vittoria), Woody Allen (Hannah e le sue sorelle), Steven Spielberg (Minority Report), Martin Scorsese (Shutter Island), Wim Wenders (Fino alla fine del mondo). Alternando senza pregiudizi generi e personaggi, ottenne due nomination all’Oscar (come miglior attore protagonista per Pelle alla conquista del mondo e migliore non-protagonista per Molto forte incredibilmente vicino); ma nel frattempo si concedeva volentieri al cinema più “pop”, anche recitando accanto ad attori che rappresentavano il suo polo opposto come Sylvester Stallone (in Dredd-La legge sono io, cinefumetto fantascientifico). Non si lasciò sfuggire una sola presenza nelle più premiate saghe cinematografiche e televisive, da quella di 007 (in Mai dire mai è il “numero uno” della Spectre) a Guerre stellari (nel Risveglio della forza, 2015, è Lor San Tekka, che possiede la mappa per arrivare a Luke Skywalker) da Conan il barbaro (è il re usurpatore Osric) al Trono di spade, nella sesta stagione del quale ricoprì il ruolo del veggente Corvo con tre Occhi, guadagnandosi svariati premi. Con perfetto trasformismo, nel 1980 era stato l’imperatore Ming, arcinemico di Flash Gordon, nel cine-comic prodotto da De Laurentiis.

Max von Sidow in Il trono di spade,

Trent’anni dopo sarà sir Walter Loksley, alias il papà di Robin Hood nel film omonimo diretto da Ridley Scott. Della sua filmografia non vanno naturalmente taciuti i film italiani. Nel 1976 von Sydow fu nel nostro Paese per interpretare ben tre pellicole di qualità: Cuore di cane di Alberto Lattuada, Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi e Il deserto dei tartari di Valerio Zurlini, dove è il capitano Ortiz. In seguito fu diretto da Mauro Bolognini (Gran bollito), Pasquale Squitieri (Il pentito), Roberto Faenza (Mio caro dottor Glaser)e Dario Argento (Non ho sonno).

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