Ciao Franco…mi dispiace!

di Tano Pirrone

Scrivere di chi è appena morto è una gran consolazione per il vivo che intraprende la stesura dei coccodrilli, come vengono chiamati cinicamente ma con brillante senso dell’umorismo gli accomodanti finto dolenti articoli che ogni buon giornale (ente massmediale o cazzimme) deve fare per dare ai lettori quella piccola carica quotidiana, il cui senso profondo è: godi bestia che sei ancora vivo! Eppure qualcuno che faccia questo sporco mestiere ci dev’essere. Nelle redazioni, mi raccontano i miei pochi amici ancora vivi (che giornalisti seri sono stati e nelle redazioni hanno piantato tende e artigli per decine di anni), nelle redazioni il compito di comporre i coccodrilli veniva assegnato ai nuovi arrivati, alle reclute, che per legge universale devono sobbarcarsi di tutto per il solo fatto di essere giovani e inesperti, qualità universalmente riconosciute come transeunti e misteriosamente allicchettate [*][per far capir poco alle masturbatorie curiosità dei colleghi anziani (già, nel loro tempo lontano, estensori di coccodrilli dimenticati di personaggi dimenticatissimi) sul futuro dei veloci transeunti.

In una stagione in cui ho perso familiari carissimi (carne della stessa carne) e amici che avrei voluto conservare per sempre, quale garanzia di sicurezza e specchio che rifletteva parti di me di cui non soffro, è capitato perdere anche un alter ego, un personaggio pubblico, uno che di cose ne ha fatto e per queste cose, viene pianto e ricordato, tranne forse nei luoghi in cui non mi avventuro, nelle malebolge dei social, dove bruciano gli aborti viventi di una società malata e senza futuro, i fraudolenti contemporanei che falsano il nostro futuro e rubano il nostro presente.

L’ho perso quell’Uno, che è stato e a tratti è tornato ad essere Nessuno, ma alla fine chiaro e risplendente si manifesta in Centomila.

Battiato, picciutteddu[*] di Riposto, paesone di mare coi piedi nell’acqua del nostro mare e quindi cogli occhi appizzati all’orizzonte forte e deciso dove ci sono le sabbie e i cammelli, dove si parla arabo e i racconti salgono alla nostra presenza come in estate nelle strade polverose del paese, improvviso si manifestava per mistero, invenzione e sacro combinarsi di forze sconosciute ‘u mazzamareddu’[*] piccole indimenticabili manifestazioni del mistero in cui eravamo nati e crescevamo e da cui siamo stati espulsi, strappati da maninazi, portati dove non saremmo mai voluti andare a fare cose che mai avremmo voluto, fare… ‘U mazzamareddu’ piccola, trasparente tromba d’aria venuta a memorarci ben altre demoniache manifestazioni della natura e di quello che dentro veramente c’è e ci vive. Perturbazione silente, educata, facile da ricordare e portare dietro nel tempo e nei luoghi e ritrovarla, qualvolta se si è felici e fortunati, ed usarla per allacciare un filo coll’infanzia lontanissima e i luoghi in cui essa si formò senza fermarsi. Trova compagnia e sostegno nel Fata Morgana[1]. Battiato e Alice la cantarono con trasporto magico in una delle più belle, sognanti canzoni della sua immensa magica produzione: ‘I treni di Tozeur[2].

C’è in essa la memoria struggente dei luoghi veri o simbolici o opportunisticamente rappresentati, antiche decisioni, legami recisi e dimenticati, che tornano con un treno o con esso di nuovo scappano e ci lasciano più soli in un deserto lontano intraversabile, in cui i mazzamareddi sono pietre miliari che ci conducono in circolo nei posti introvabili della nostra anima, dei nostri passati, dei nostri mondi rubati o ormai perduti.
Sapevamo tutti che il segreto era di muoversi ad un’altra velocità a scambiare di tanto in tanto l’andata col ritorno, fino a dimenticare la meta ed accogliere come tale quella che il gioco dell’andarivièni ci sorteggiava di volta in volta. E cambiavamo storia, direzione, velocità, ebbrezza; la giovinezza era il fumo che usciva dal nostro fumaiolo mentre con sorteggiata velocità improbabilmente andavamo di meta in meta girando come dervisci attorno al nostro asse. Lo sapevamo e avremmo dovuto tapparci le orecchie col miele degli Iblei, diventare sordi e ciechi – gli antichi, i padri ce lo avevano detto, ci avevano indicato la via e ci avevano affidato piccole luci per orientarci in questo viaggio senza ritorno, attraverso un buio illuminato da musiche strane lontane cangianti evocatrici che ripetevano ritornelli sempre cangianti.

Non li abbiamo ascoltati. La nostra velocità l’hanno regolata gli Altri e ora ci accorgiamo che Franco ci aveva avvisati, che l’era del Cinghiale bianco era la nostra era e non c’era altra era…

Ciao Franco… mi dispiace!


[1]    Coscientemente evito fonti recenti inquinate da deodoranti imbarazzanti, da colori disturbati e sintomaticamente preoccupanti e mi rifugio in quel vas d’elezione che è il Dizionario di Cognizioni Utili della Unione Tipografica Torinese nell’edizione del 1926, eredità di mio padre, che mi trasmise, insieme al gusto della vita e all’amore per la propria terra (insieme geopolitico: luoghi, persone, piante, animali, il cui insieme ci rende possibile vivere e, se va bene, morire con dignità). La voce “Fata Morgana”: «Si dà questo nome a un fenomeno pel quale talvolta nello stretto di Messina si sono veduti capovolti e come proiettati sull’orizzonte i simulacri di alberi e di certi ruderi che stanno sulla riva opposta e che restano celati alla visione diretta da una collina. Per lo stesso fenomeno talora appariscono in alto mare immagini capovolte in aria e librate nell’atmosfera. Questa singolare apparenza ripete le medesime cause del Miraggio ed è un risultato di riflessione totale per la cui intelligenza occorrono delle nozioni sull’angolo limite e sulle leggi della Riflessione e Rifrazione.»

[2]   Nei villaggi di frontiera guardano passare i treni /Le strade deserte di Tozeur
Da una casa lontana tua madre mi vede / Si ricorda di me delle mie abitudini
E per un istante ritorna la voglia di vivere / A un’altra velocità
Passano ancora lenti i treni per Tozeur / Nelle chiese abbandonate si preparano rifugi
E nuove astronavi per viaggi interstellari / In una vecchia miniera distese di sale
E un ricordo di me come un incantesimo / E per un istante ritorna la voglia di vivere
A un’altra velocità / Passano ancora lenti i treni per Tozeur
Nei villaggi di frontiera guardano passare / I treni per Tozeur

[*] Termini siciliani: allicchettate= imbellettate; piciutteddu= giovanotto; mazzamareddu= tromba d’aria

Informazioni su Tano Pirrone 88 Articoli
Sono nato in provincia di Siracusa, a Francofonte, l’antichissima Hydria dei coloni greci, quaranta giorni prima che le forze alleate sbarcassero a Licata. Era il 14 maggio 1943. Ho frequentato il liceo classico, ma non gli studi per giornalista, cui ambivo. Negli anni ’70 ho vissuto due lustri a Palermo, dove ho lavorato in fabbrica, come impiegato amministrativo- commerciale. Nel 1981 mi sono trasferito a Roma per amore di Paola, oggi mia moglie. Sono stato funzionario commerciale e Project Manager nel Gruppo Marazzi. Infine consulente d’azienda per Organizzazione Aziendale e Sistemi Qualità. Curo le piante della mia terrazza, vedo gente, guardo film e serie tv, vado a cinema e a teatro, seguo qualche mostra; leggo, divagando e raccogliendo fior da fiore, e scrivo di cinema, libri e teatro per Odeonblog; di altre cose per me stesso. Ho pubblicato anche su Ponza Racconta, Lo Strillo, RedazioneCulturaNews ed altri siti di cinema e teatro. Ho due figli, Francesco e Andrea, ed avevo un cane, Bam, che sta sempre con me dovunque io vada. Sono faticosamente di sinistra; sono stato incendiario ed ora dovrei essere ragionevolmente pompiere.
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