L’India vista da Ray, Rossellini e Lang: tre sguardi diversi

a cura di Letizia Piredda

Difficilmente abbiamo visto questi tre nomi in uno stesso paragrafo: la storia del cinema, deve seguire criteri cronologici e geografici e quindi un regista indiano non capita vicino a un regista italiano e tantomeno vicino a un regista tedesco, esiliato in America. Ma nel suo ultimo libro, Alberto Crespi[1] azzarda collegamenti impensati, tracciando percorsi che vanno avanti e indietro nel tempo, e ci sorprende continuamente con accostamenti che spezzano la vicinanza geografica o la contemporaneità storica.
In questo caso è l’India ad essere il comune denominatore per tre registi provenienti da paesi e culture diverse.
Cominciamo da Ray: nel 1959 esce in India il terzo atto della trilogia di Apu, consacrando Satyajit Ray come il più grande regista indiano, nonché uno dei più grandi del mondo. I tre film, girati sotto l’influenza del neorealismo, sono: Pather Panchali ( Il lamento sul sentiero,1955), Aparajito(L’invitto, 1956) e Apur Sansar(Il mondo di Apu,1959). Tre capolavori che seguono la storia di un fanciullo che diventa ventenne passando dall’India rurale all’inurbamento a Calcutta. La storia di Apu è un romanzo di formazione, e, con alcune differenze, è anche un racconto autobiografico. Ma quello che spiega il suo successo è che si tratta di una storia archetipica che, come dice Robert McKee nel suo libro: “porta alla luce un’esperienza umana universale, per poi esprimerla nei termini di una specificità culturale unica nel suo genere[2].”

Negli stessi anni, Rossellini, da poco separato da Ingrid Bergman, raggiunge a Parigi una bella signora indiana il cui nome è Sonali Dasgupta: la loro storia è iniziata in India , dove Sonali era sposata e dove Rossellini ha girato un film, India Matri Bhumi.

Tra le persone che conosce in India durante la lunga lavorazione del film c’è anche Satyajit Ray. Hari Dasgupta, il marito di Sonali che diventerà collaboratore di Rossellini, è un suo assistente. A mettere Ray e Rossellini in contatto è stato Jean Renoir che ha girato in India Il fiume arrivando direttamente dagli Stati Uniti, dove era emigrato durante la guerra. Quando Ray fa da assistente a Renoir è solo un aspirante regista, mentre invece quando incontra Rossellini ha già realizzato il suo primo film. Condividono un’ amicizia con il primo ministro Indiano Jawaharlal Nehru che sosterrà Rossellini e commissionerà a Ray un documentario su Tagore.

Come già in precedenza il film di Rossellini è anche l’inizio di una storia d’amore e le riprese sono discontinue e spesso demandate ad altri. Ne ricaverà un film e una serie di documentari per la TV. Questi ultimi vanno in onda in Italia e in Francia all’inizio del 1959. Il film invece viene presentato a Cannes. Le reazione sono miste ma i Cahiers che hanno eletto Rossellini a padre putativo sono estatici. Jean Luc Godard scrive: “ India è il contrario di tutto il cinema abituale… Ogni immagine è bella non perché sia bella in sé, come un’inquadratura di Que Viva Mexico, ma perché è lo splendore del vero e perché Rossellini parte dalla verità. Lui è già partito dal punto a cui gli altri arriveranno forse tra vent’anni. India è la creazione del mondo.”[3]

Dall’alto a sn: India, 1959 di Rossellini, Il mondo di Apu,1959 di Ray. Dall’alto a dx: Il mondo di Apu di Ray, e India di Rossellini

Rossellini ridimensiona questi elogi definendolo un film etnologico. Ma sicuramente resta il suo sguardo puro, con il quale si pone davanti al mistero senza preconcetti.
Ciò che ti colpisce in India è la contemporaneità della storia. Ti senti immerso in un’umanità totalmente primitiva e sei anche nell’epoca moderna… L’India è qualcosa di talmente complesso che se non la tocchi un po’ qui e un po’ là, sotto apparenze che sono comunque molto diverse, si rischia, credo, di non esprimere nulla [3].”

Nello stesso anno,1959, un regista famoso si accosta all’India con un dittico : La tigre di Eschnapur e Il sepolcro indiano. Si tratta di Fritz Lang. Ma cosa spinge un regista affermato come lui verso l’India? Bogdanovich ci racconta attraverso le parole di Lang la storia dei due film[4].

L’India realistica di Rossellini e l’India esotica di Lang

Praticamente si intrecciano a partire dagli anni ’20 un copione scritto con la moglie, la signora Thea von Harbou, e il produttore-regista tedesco Joe May, per cui Lang doveva girare il film. Ma alla fine non se ne fa niente, o meglio Joe May intuisce il successo e decide di dirigerlo lui. Durante il Nazismo il film fu rifatto una seconda volta. E infine, nel 1957, Lang ricevette un telegramma in cui gli veniva proposto di rifare il film. Riprendere una storia a distanza di quarant’anni, prima del nazismo e dell’esilio in America, con una moglie che nel ’32 si era iscritta al partito nazista e dalla quale aveva divorziato a distanza, aveva il sapore di un riscatto, di una rivincita. Ma non solo, l’India per Lang era una specie di sirena che lo richiamava verso la Germania.

Lang ci dà un’immagine dell’India completamente diversa sia da quella di Ray che da quella di Rossellini: costruisce un’India tutta finta, un’India leggendaria all’insegna di un esotismo estremo e visionario. E’ come se Lang volesse dimenticare tutto il realismo dei suoi film hollywoodiani, per riesumare tutti gli aspetti “fantastici”dei suoi capolavori tedeschi, a cominciare da Metropolis. E l’operazione riesce al meglio:  attraverso l’India arriva a riconciliarsi con la Germania.

[1] Alberto Crespi. Short cuts, Il cinema in 12 storie. Gius.La Terza&Figli, 2022
[2] Robert McKee. Story. Contenuti, struttura, stile. Omero Editore, 2013
[3]Dileep Padgaonkar. Stregato dal suo fascino. Roberto Rossellini in India.
Einaudi,2011
[4] Peter Bogdanovich. Chi ha fatto quel film? Fandango Libri, 2010 pp.369-375

Vedi anche: Il tocco alla Lubitsch

Lois Weber e Ida Lupino

La dolce vita: un raro caso di film-mondo

Psycho, un film di Natale

Un film che ne contiene 451

Informazioni su Letizia Piredda 181 Articoli
Letizia Piredda ha studiato e vive a Roma, dove si è laureata in Filosofia. Da diversi anni frequenta corsi monografici di analisi di film e corsi di critica cinematografica. In parallelo ha iniziato a scrivere di cinema su Blog amatoriali.
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Tano Pirrone

Articolo di chiarezza assoluta e motivante, senza scadere mai nel didascalico e nel nozionismo. Rivedere i film citati è attività “necessaria”, soprattutto alla luce dell’inquadramento critico fattone. Non sono film facili da trovare, ma provo a dare qualche indicazione ai nostri lettori più volenterosi:
1. Roberto Rossellini, India Matri Bhumi.
Il DVD è acquistabile su Amazon al prezzo di € 28,62 (senza ulteriori spese di spedizione) oppure si può vedere su http://www.rai.it attivando il seguente link: https://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-a301e891-3083-46d5-b7cf-e183fa3a4fbc-cinema.html
2. Satyajit Ray. Su Mubi c’è l’intera produzione del regista. L’accesso alla piattaforma è a pagamento con abbonamento mensile.
3. Fritz Lang. I due film sono quanto di più hollywoodiano possa esserci, ma lavorati con mestiere e ancora oggi sorbibili. La moglie Thea von Harbou aveva scritto Metropolis, poi collaborò ancora e questi due film hanno anche la sua firma.
La tigre di…: Fritz Lang: https://www.youtube.com/watch?v=MmPCXPUAvng
Il sepolcro indiano, meno tranquillamente su: https://cb01.press/stream/18790-il-sepolcro-indiano-streaming-cb01.html