Kill me if you can

di Angela Caputi

Chi è stato nel corso della sua vita difficile, e chi è oggi, Raffaele Minichiello?
A partire da queste domande Alex Infascelli comincia a girare attorno al suo personaggio, cercando il nucleo di verità esistenziale racchiuso nelle vicende di una vita avventurosa e complessa, fatta di scelte talvolta istintive e talvolta meditate. Accade in ogni singola vita, certo, ma qui si tratta di situazioni portate al limite, che per ciò stesso spingono a interrogarsi.  
La rappresentazione, o ricerca che dir si voglia, procede per tutta la sua durata attraverso un continuo spostamento dei punti di vista, tra interviste (ai figli, a chi lo ha conosciuto) , documenti d’epoca, flash back e ritorni al presente, con un alternarsi rapido di sequenze sapientemente montate in un gioco di rimandi a specchio[1].  Ne emerge la costruzione di un prisma dalla superficie non del tutto scalfibile e dalle molteplici facce, di cui ognuna racconta una storia.

Alcune immagini del film, al centro Raffaele Minichiello con il regista Alex Infascelli.

Raffaele è di volta in volta il  figlio smarrito di emigrati dall’Irpina  dopo il terremoto del ’62;  è il marine alla Rambo (pare che abbia ispirato il personaggio), cresciuto secondo un’etica più personale che collettiva di coraggio e onore, e decorato al valor militare dagli USA  per l’eroico salvataggio  dei suoi compagni, recuperati sotto il fuoco nemico in  Vietnam;  è il diciottenne che in guerra aveva inciso sul suo elmetto “kill me if you can”, ma che al ritorno dalla guerra non ha avuto i riconoscimenti attesi e si è sentito tradito dal paese che amava e di cui si sentiva parte;  è l’uomo segnato dalla guerra, “la cosa più brutta che si possa fare”, come lui stesso oggi dice; è l’ex marine che nel ’69 si vendica – forse – del tradimento con uno spettacolare dirottamento di aereo di linea (il più lungo, 19 ore e tre scali) facendo parlare mezzo mondo, ripudia gli Stati Uniti che lo hanno tradito, arriva avventurosamente  in Italia e ritorna a piedi là da dove era partito, il suo paese natale ( salvo poi farsi difendere da avvocati statunitensi, e riprendere anche l’altra cittadinanza); è l’osservatore di un qualche servizio segreto – forse -che si trova al posto giusto nel momento giusto durante i disordini degli anni ’70; è l’uomo che riconquista una serenità bruscamente interrotta da un altro tragico tradimento, stavolta del destino, la morte per parto della moglie amatissima, e ancora cerca una compensazione, e – forse – trova in una Bibbia almeno una parte di compiutezza.  Forse.  

L’uomo di oggi, spesso ripreso su uno sfondo di cielo, ha il viso segnato, e i giochi di luce e d’ombra  mostrano tutti i segni, ha gli occhi fondi e qualche sorriso appena accennato. Ha parlato molto, ma non vuole, o non sa, rispondere all’ultima domanda, su dove sia la sua verità.  
“Per me la verità è in questo libro”[2] dice. Su tutto il resto tace, piega la testa e si chiude nel silenzio, lasciando che lo circondi il mistero di un’esistenza, la sua. E quella di ognuno, forse.

L’immagine che resta negli occhi è quella di un jet lontano, perso nel vuoto azzurro del cielo.


[1] Per sapere di più sulle interviste fare clic qui
[2] Il film prende spunto dal libro Il Marine-storia di Raffaele Minichiello, di Pier Luigi Vercesi.
Edizioni Mondadori, 2017
Il film uscirà nelle sale come evento speciale il 27-28 febbraio e il 1 marzo

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