“Fuori” di Mario Martone

di Giulia Pugliese

“Io non so ballare” – Goliarda Sapienza

Negli ultimi anni si è avuta una riscoperta di Goliarda Sapienza e delle sue opere. Morta dimenticata, contestata e presa poco seriamente, come spesso succede nel nostro Paese quando un intellettuale è diverso dagli altri, vedi, ad esempio, Pier Paolo Pasolini. In Italia, le persone che non si confanno alla morale comune o a pensieri di parte vengono immediatamente ghettizzate. Così è successo a Goliarda Sapienza. Ma poi, quando una cosa viene masticata, edulcorata e resa docile per i più, allora si passa alle riscoperte postume. In questi ultimi anni, appunto, si è riscoperta la scrittrice/attrice: tributi ai festival di cinema e di letteratura, la serie tratta dal suo romanzo L’arte della gioia, e questo film, appunto.
Il motivo per cui questa scrittrice/attrice non sia riuscita a pubblicare il suo romanzo quando era ancora in vita, o perché sia morta dimenticata, non è da imputare ai salotti buoni, all’intervista di Enzo Biagi dopo il carcere (ricordata nel film), o alle sue posizioni scomode. Questo Paese è così: non è in grado di capire le sue eccellenze. Il grande lavoro di rispolvero e riscoperta fatto prima da Valeria Golino, poi da Mario Martone, è notevole e sorprendente.
Fuori parla di una Goliarda Sapienza che ha il volto della persona che più di tutte si è mossa per questa riscoperta: Valeria Golino. La scrittrice è ormai definitivamente messa da parte come attrice e intellettuale, di cui i salotti sono stufi, lo dice lei stessa. Paradossalmente, anche nel film non è la vera protagonista, ma ne seguiamo lo sguardo: quello che posa sulle detenute che ha conosciuto a Rebibbia, in particolare su Roberta, interpretata da Matilde De Angelis, brigatista e tossica, che sembra non poter fare a meno del carcere, della lotta e dell’eroina.
Goliarda Sapienza, che nel film è sempre assolutamente inerme, fuori fuoco, sempre da un’altra parte, ne è affascinata e gelosa, ma impossibilitata a starle dietro. La segue per tutto il film, senza mai capirne l’essenza. Due mondi troppo diversi: uno borghese e puro, l’altro intriso di mancanze, anche familiari, lotta e rabbia. La scrittrice, durante il film, è incapace di rimanere dentro le situazioni che le si presentano. Sembra sempre da un’altra parte (ancora dentro?), sempre esterna alle situazioni delle altre donne, in qualche maniera sbagliando sempre i tempi e le azioni da compiere.

Sullo sfondo una Roma iridescente, luminosissima ed evanescente, fuori fuoco come quasi tutto quello che si trova intorno alle detenute, ormai fuori dal carcere. La città risulta arcigna e giudicante, nei pochi palazzi che Martone ci mostra, con facciate geometriche e angolature squadrate: una sorta di carcere a cielo aperto.
Fuori non è un film carcerario. Il carcere è presente nei ricordi di Goliarda Sapienza e diventa un luogo idilliaco, tra pari, fatto di donne tutte diverse, dove è normale parlare di lotta e di amore saffico, che rende possibile l’incontro tra mondi differenti. Ma “fuori” e “dentro” rimangono concetti astratti, e nella testa di Roberta, Goliarda e Barbara, sia fuori che dentro, non c’è pace e non c’è conforto. Una parte di loro rimane dentro al carcere.
La vera protagonista del film è Roberta, che tenta di riportare Goliarda sulla terra, senza però mai veramente riuscirci. Un personaggio di donna brigatista, la cui follia non viene edulcorata, ma non è neanche completamente fuori di testa, come i brigatisti a cui ci ha abituati Marco Bellocchio o Giulia della Meglio Gioventù. Forse, così come l’Italia sta riscoprendo Goliarda Sapienza, sarebbe il momento di dare spazio a una visione di quella storia lì più reale e meno stereotipata.
Matilde De Angelis finalmente trova una maturità artistica, smette di inseguire le serie televisive straniere e i facili successi dovuti alla sua evidente avvenenza, riuscendo a rubare la scena alla sempre ottima Valeria Golino. E persino Elodie, che alla fine fa una particina, riesce a essere ben centrata nel ruolo della bella coatta con sogni semplici. Le attrici riescono a regalarci un senso di coralità e cameratismo, fatto di fughe verso il mare e cene nel retrobottega di Barbara.

In un film che è fatto anche di gente che si appisola, tutto ci riporta a un brutto risveglio. Mario Martone ci regala un finale pieno di poesia e di sofferenza, dove la parola scritta vince. È il 1980 e l’orologio della stazione segna le 18.00, regalandoci una scena in cui vengono dette parole che il cinema italiano non pronuncia spesso.
1980: l’eroina imperversa per le strade, le Brigate Rosse sono allo sbando. Roberta lo dice: “Io ne ho parlato e non me lo perdoneranno”. Il dentro e il fuori si ribaltano, ma non sono mai esistiti: sono solo nella testa delle protagoniste. E ancora una volta Goliarda non capisce, e chiede aiuto, in un finale poetico e cinematografico.
Un film che racconta il nostro Paese in maniera diversa e con uno sguardo femminile, che prende ritmo alla fine e fa sì che lo spettatore non voglia uscire fuori, ma rimanere dentro.

Informazioni su Giulia Pugliese 44 Articoli
Giulia Pugliese Scrittrice Educazione 2011 - Master in EUC Group & CEERNT European Project 2006/2010 - Laurea triennale in Cooperazione allo sviluppo Esperienze lavorative 2024 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Odeon 2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online I-Films 2022/2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Long Take Premiazioni Vincitrice del concorso di scrittura per la critica cinematografica over 30 indetto da Long Take Film Festival quinta edizione - 2023

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