“La tempesta” del Bardo è sempre di grande utilità per tutti

Il lavoro in corso di Alessandro Serra e il film di Gianfranco Cabiddu del 2016

di Tano Pirrone

«Lo sforzo disperato che compie l’uomo
nel tentativohttps://www.odeonblog.it/wp-content/uploads/2022/05/la-tempesta-cover.jpg di dare alla vita un qualsiasi significato è teatro».
[1]

Sono poche le grandi opere letterarie o teatrali che il cinema non abbia fagocitato per portare in immagini le storie che scrittori avevano pensato solo per appassionati lettori o drammaturghi per attente platee di cultori dell’arte di Melpomène. Anche la penultima opera di Shakespeare (chi è questo sconosciuto, misterioso signore che di noi ha detto tutto in tutte le salse?): La tempesta, classificata dagli studiosi come romance[2], un’opera, cioè in cui l’autore rielabora temi già trattati in species di tragedia o di commedia conferendo loro una dimensione mitica e sacrale; sono ricorrenti nel genere temi come la morte, la rinascita, l’espiazione seguita dal perdono e le colpe dei padri riscattate dai figli.

L’opera datata 1611 è forse l’ultima – o penultima – del Bardo ed è forse anche per questo, ricchissima di spunti e di sfaccettature, e dà ampio margine di inventiva a chi coraggioso e dotato dei necessari sacri furori, decide di metterla in scena, oggi, in Italia, alla curva più bassa della pandemia e a quella più alta della follia umana: l’invasato, mie care lettrici e miei cari lettori, è Alessandro Serra. Visto e goduto due anni fa in Macbettu[3], ne abbiamo ammirato l’ultima fatica al Teatro Argentina di Roma, stracolmo e fin troppo agitato dagli ottimi spunti farseschi. Ridotta, l’opera dagli originali cinque atti, a circa un’ora e 45 minuti, sopportabilissimi, anche se tutta una tirata, da novizi insofferenti. Nessuno sembra aver sofferto, anzi. Pubblico che dava l’impressione di conoscere già la bellezza estetica e di contenuti del teatro di Serra e che quindi ha seguito in surplace senza nulla perdersi.

Macbettu, La tempesta, Eduardo De Filippo e Alessandro Serra

Il racconto della commedia inglese inizia quando gran parte degli eventi sono già accaduti. Il dramma, ambientato su di un’isola imprecisata del Mediterraneo, racconta la vicenda dell’esiliato Prospero, il vero duca di Milano, che trama per riportare sua figlia Miranda al posto che le spetta, utilizzando illusioni e manipolazioni magiche. Mentre suo fratello Antonio e il suo complice, il re di Napoli Alfonso, stanno navigando sul mare di ritorno da Cartagine, il mago invoca una tempesta che rovescia sull’isola gli incolumi passeggeri. Attraverso la magia e con l’aiuto del suo servo Ariel, uno spirito dell’aria, Prospero riesce a rivelare la natura bassa di Antonio, a riscattare il re e a far innamorare e sposare sua figlia con il principe di Napoli, Ferdinando. La narrazione è tutta incentrata sulla figura di Prospero, il quale, con la sua arte, tesse trame con cui costringe gli altri personaggi a muoversi secondo il proprio volere.

Tutti nella tempesta tentano di usurpare, consolidare, o aumentare il proprio potere. Mercé le arti magiche apprese Prospero ribalta l’opera dei ribaltatori e ripristina il suo potere, ma nel farlo acquisisce la forza della compassione e concede di conseguenza l’imprevedibile perdono. L’opera è anche un inno al teatro fatto con il teatro la cui forza magica risiede proprio in questa possibilità unica e irripetibile di accedere a dimensioni metafisiche attraverso la cialtroneria di una compagnia di comici che calpestano quattro assi di legno, con pochi oggetti e un mucchietto di costumi rattoppati.

Lo spettacolo è stato una gioia per i sensi e per l’anima: Serra fa tutto e lo sa fare come pochi in questo paese: luci, scene, costumi, regia tutto perfettamente integrato e funzionale a trasmettere la gioia di essere nell’ultimo luogo in cui gli esseri umani possono esercitare il diritto all’atto magico. È stata la dimostrazione senza appello che per essere rispettosi dell’opera in modo che gli spettatori di oggi, – anche e soprattutto i giovani – possano amare il teatro, i grandi vecchi autori e i coraggiosi nuovi, non c’è bisogno di far indossare agli attori le divise naziste o ricorrere agli dei che parlano al telefono; non c’è bisogno di rifare nei gloriosi templi millenari improbabili sanremo o altri squallidi spettacoli tv, basta avere cultura, gusto e rispetto, come li ha, senza dubbio alcuno Alessandro Serra. Il tutto aumentato dal sapiente connubio con le reminiscenze storiche, simboliche ed estetiche della sua antichissima misteriosa terra: certi movimenti che ricordano i riti dei mamuthones[4], lievemente, come ombre di ricordi atavici, tribali.

Alessandro, ti aspettiamo al Teatro greco di Siracusa, lì si parrà tua nobilitate

Nel frattempo, ci organizziamo per presenziare agli spettacoli classici di quest’anno, augurandoci che la insoddisfazione dello scorso anno per la barocca televisionesca esecuzione delle Coefore-Eumenidi non si ripeta con la prima delle opere dell’Orestea eschiliana, l’Agamennone[5], ma visti gli imperversanti venti di guerra, temo che sia peggio, molto peggio.

Opportunamente (necessariamente) abbiamo rivisto il bel film del 2016 di Gianfranco Cabiddu La stoffa dei sogni[6]. Basta la parola, per capire che il soggetto è legato all’opera del Cigno di Avon attraverso la magistrale traduzione/adattamento in napoletano del ‘600 fatta da Eduardo De Filippo[7], e liberamente ispirato a L’Arte della commedia[8] del drammaturgo napoletano, di cui riprende i nomi dei due protagonisti, il capocomico Oreste Campese e il funzionario contrapposto De Caro, e lo schema generale. Gran merito attribuiamo alla sceneggiatura, messa insieme, oltre che dal regista Cabiddu, dall’espertissimo Salvatore De Mola e da Ugo Chiti, di cui non possiamo non ricordare alcuni film di elevato valore e successo, quali tanti per Matteo Garrone: L’imbalsamatore (2002), Gomorra (2008), Reality (2012), Il racconto dei racconti (2015) e Dogman (2018) e poi altri per Giovanni Veronesi, Ascanio Celestini, Edoardo Ponti, Roberto Andò.

Il film di Cabiddu tratteggia quell’umanità specchio della realtà universale di cui lo stesso Eduardo vestiva i suoi personaggi, le loro azioni e i gesti, dotati della simbolicità propria del teatro che avvolge e coinvolge il pubblico fino a farlo diventare parte integrante della scena. Ed è proprio questa massima considerazione del pubblico, sublime elemento di contatto fra Shakespeare ed Eduardo, a caratterizzare il film, in cui attori, pubblico e protagonisti si fondono e confondono, fino a rappresentare le inquietudini della vita reale.

Il film racconta le vicissitudini di una modesta compagnia di teatranti, con a capo Oreste Campese (Sergio Rubini), che naufraga su di una misteriosa isola-carcere, e si ritrova a dover coprire alcuni pericolosi camorristi decisi a evitare la reclusione confondendosi fra gli attori. Sarà il Direttore del carcere (Ennio Fantastichini) a lanciare la sfida al capocomico per scoprire chi nella compagnia è vero attore e chi un criminale… dovranno mettere in scena La tempesta di William Shakespeare. Mentre il boss camorrista (Renato Carpentieri) convince Campese a riscrivere il copione con un linguaggio che lui e i suoi scagnozzi possano imparare e recitare degnamente, sullo sfondo si assiste alla nascita, quasi impercettibile e commossa, della storia d’amore tra Miranda, figlia adolescente e semireclusa del direttore del carcere, e il camorrista naufrago disperso, Ferdinando Aloisi, in un rapporto fatto di sguardi, di poche parole sussurrate alternate all’eloquente linguaggio dei loro giovani corpi.

La stoffa dei sogni, 2016 di Francesco Cabiddu

La stoffa dei sogni si caratterizza per i colpi di scena nello stile di una commedia degli equivoci a lieto fine che riprende tutta la poesia del linguaggio shakespeariano proprio durante le prove di preparazione dello spettacolo. Inoltre, la versione de La tempesta adottata nel film è fedele alla traduzione napoletana dell’opera di Shakespeare per mano di Eduardo De Filippo, del quale il regista Gianfranco Cabiddu fu assistente per molti anni.

Il film è ambientato nel primo dopoguerra in Sardegna, sull’isola dell’Asinara[9], disseminata di fortini carcere e colonia penale sino al 1998, dove assistiamo alla bellezza della natura aspra e incontaminata, isola da cui la sua popolazione era stata completamente evacuata. In questo contesto si inserisce il personaggio di Calibano, nel film interpretato dall’attore sardo Fiorenzo Mattu, che esprime poeticamente la condizione di “selvaggio” emblema dell’isolano colonizzato, che mantiene il legame autentico con la propria lingua e la meravigliosa natura che lo circonda e con cui sola comunica.

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La Tempesta di William Skakespeare

Traduzione, adattamento, regia, scene, luci, suoni e costumi: Alessandro Serra │ con (in o.a.): Fabio Barone, Andrea Castellano, Vincenzo Del Prete: Massimiliano Donato, Paolo Madonna, Jared McNeill, Chiara Michelini, Maria Irene Minelli, Valerio Pietrovita, Massimiliano Poli, Marco Grosso, Bruno Stori.

Visto il 4 maggio al Teatro Argentina di Roma (in cartellone dal 28 aprile al 15 maggio 2022).

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La stoffa dei sogni di Gianfranco Cabiddu

Regia: Gianfranco Cabiddu │ Anno: 2016 │ Durata: 103’ │ Soggetto: Eduardo De Filippo, Gianfranco Cabiddu │ Sceneggiatura: Gianfranco Cabiddu, Ugo Chiti, Salvatore De Mola │ Fotografia: Vincenzo Carpineta │ Montaggio: Alessio Doglione │ Musiche: Franco Piersanti │ Scenografia: Livia Borgognoni │ Costumi: Beatrice Giannini, Elisabetta Antico │ Produttore: Isabella Cocuzza, Arturo Paglia │ Interpreti e personaggi: Sergio Rubini (Oreste Campese, il capocomico); Ennio Fantastichini (il direttore De Caro); Alba Gaïa Bellugi (Miranda); Renato Carpentieri (Don Vincenzo); Francesco Di Leva (Andrea); Ciro Petrone (Saverio); Teresa Saponangelo (Maria); Luca De Filippo (Capitano); Nicola Di Pinto (Pasquale); Jacopo Cullin (Tenente Franci); Fiorenzo Mattu (Antioco); Maziar Fayrouz (Ferdinando) │ Riconoscimenti: David di Donatello 2017 (Migliore sceneggiatura e altre otto candidature); Globo d’Oro 2017 (Miglior film e candidatura per la migliore fotografia); Bobbio Film Festival 2017 (Premio Gobbo d’oro al Miglior film).

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L’arte della commedia di Eduardo De Filippo

È del 1976 una trasposizione televisiva con regia dello stesso autore e musiche di Roberto De Simone. A cura di Antonella Ottai e Paola Quarenghi; coordinamento di Luca De Filippo. Contenuti extra: regia Graziano Conversano; montaggio di Johannes Nakajima. Nel 2020 la trasposizione televisiva è stata pubblicata in Dvd nell’ambito della raccolta Il teatro di Eduardo edito dal Gruppo editoriale Gedi. È godibile facilmente sulla piattaforma RaiPlay.

Tra gli interpreti, oltre Eduardo (il capocomico Oreste Campese), Ferruccio De Ceresa (il Prefetto De Caro), Paolo Graziosi (il capo di gabinetto del prefetto), Luca De Filippo (il medico del paese), Mario Scaccia (il parroco), Angelica Ippolito (la maestra), Marina Confalone e Gennarino Palumbo (marito e moglie accusati dalla maestra).

NOTE

[1]   Non esiste in circolazione il dvd, ma è visibile su RayPlay.

[2]   Barbara Bulzoni – Regina Bianchi. Regina del palcoscenico – GAIA srl – Edizioni Univ. Romane, 2008 – Pag. 35.

[3]   Dramma romanzesco. Le ultime opere di Shakespeare: il grande incontro tra realtà e fantasia, in cui il grande drammaturgo riflette su sé stesso in un’ultima eccezionale sperimentazione, innova completamente il suo teatro realistico violando tutte le leggi della verosimiglianza, con una grande continuità d’intenti. Soprattutto negli ultimi decenni questi drammi romanzeschi hanno attirato l’attenzione sia dei critici che dei teatranti, e sempre più numerose ne sono le messe in scena.

[4]   Macbettu, vincitore del premio UBU 2017 come miglior spettacolo dell’anno, prende spunto da un lato dal Macbeth di William Shakespeare, dalla sua universalità e pienezza di sentimenti, dall’altro dall’ispirazione del regista Alessandro Serra di fronte ai carnevali della Barbagia.

[5]   I Mamuthones sono maschere tipiche del carnevale di Mamoiada in Sardegna. La maschera facciale (visera) è nera e di legno annerito: oltre al fico vengono impiegati l’ontano e l’olmo; qualcuna è in castagno o in noce, mentre anticamente si usava il pero selvatico. è assicurata al viso mediante cinghiette in cuoio e contornata da un fazzoletto di foggia femminile. Il corpo del mamuthone viene coperto da pelli di pecora nera (mastruca), mentre sulla schiena è sistemata una serie di campanacci (carriga). I Mamuthones procedono affaticati e in silenzio. La loro origine resta ancora oggi controversa. Alcuni studiosi sostengono un legame con riti dionisiaci, altri negano questo collegamento, e la includono invece fra i riti che segnano il passaggio delle stagioni. (da Wikipedia, estratto).

[6]   Agamennone è la prima delle tragedie dell’Orestea, la trilogia di Eschilo, l’unica dei tragici greci ad essere giunta fino a noi. L’opera di Eschilo è anche l’unica che tratta lo stesso argomento, sviluppandolo nel tempo. L’Agamennone e le Coefore simboleggiano l’irrazionalità del mondo antico ed arcaico, contro, nelle Eumenidi, la razionalità delle istituzioni della polis, in cui Oreste stesso si rifugia. La trilogia, con il perduto dramma satiresco Proteo vinse nel 458 a.C. le Grandi Dionisie, celebrazioni legate al dio Dioniso, a carattere competitivo.

[7]   Nel 1983 Eduardo De Filippo ottantatreenne consegnava la sua riscrittura de La tempesta di William Shakespeare all’Einaudi, per uscire poche settimane più tardi nella collana Scrittori tradotti da scrittori.

Diverse sono le ragioni per cui Eduardo scelse questa commedia e non un’altra, e ce lo spiega egli stesso nella nota in chiusura al volume: «La tolleranza, la benevolenza che pervade tutta la storia». Il drammaturgo napoletano prosegue: «Sebbene sia stato trattato in modo indegno da suo fratello, dal re di Napoli e da Sebastiano, Prospero non cerca la vendetta bensì il loro pentimento. Quale insegnamento più attuale avrebbe potuto dare un artista all’uomo di oggi, che in nome di una religione o di un ideale ammazza e commette crudeltà inaudite, in una escalation che chissà dove lo porterà?»

La lingua adottata da Eduardo per riscrivere La tempesta è un napoletano del Seicento, una lingua che presenta suoni più cauti, meno parole tronche a beneficio di parole piane, quindi “diversa” rispetto al napoletano corrente o rispetto al napoletano utilizzato nelle sue commedie. Egli cercò di tradurre mantenendosi fedelmente all’originale e all’apposita traduzione in italiano fatta dalla moglie Isabella Quarantotti, scrittrice, drammaturga, traduttrice e critica letteraria. Tale approccio permise al genio napoletano di dar vita ad un’opera di traduzione “originale”, nel senso della lingua, tale da rendere in napoletano lo stesso senso delle espressioni e delle personalità create dal drammaturgo di Strafford-upon-Avon. A sottolineare la straordinaria comunanza fra i due drammaturghi è necessario ricordare che Shakespeare si ispirò per la Tempesta (come per altre sue opere) alle Metamorfosi di Ovidio e che la teatralità e la fantasia tradizionale napoletana, meridionale, è pervasa da spiritismi, e da incontri con santi, angeli e demoni, oltre che con orchi cannibali.

[8]   L’arte della commedia. Commedia teatrale in due tempi e un prologo di Eduardo De Filippo (1964). L’opera fa parte della raccolta Cantata dei giorni dispari, che contiene le commedie scritte a partire dall’immediato dopoguerra. I giorni dispari (in un detto napoletano sono quelli in cui si scoprono le violenze della guerra (Napoli milionaria), gli inganni della miseria (Questi fantasmi!), le cause della prostituzione (Filumena Marturano). Questi temi si arricchiscono via via di molte inquietudini del vivere quotidiano e del vivere nella società: dall’incomprensione tra parenti (Le voci di dentro, Bene mio e core mio, Mia famiglia e Sabato, domenica e lunedì) alle storture della giustizia (De Pretore Vincenzo), sino alla censura della cultura denunciata ne L’arte della commedia. Continua

La storia: In una cittadina di provincia si incendia il capannone di una compagnia di comici. Il capocomico Campese si reca dal Prefetto per invitarlo a presenziare in segno di solidarietà al suo spettacolo, ospitato in via eccezionale al teatro comunale. Ne nasce un vivace contraddittorio sui rapporti fra teatro e Stato; alla fine indispettito, il Prefetto nega la sua presenza e offre un foglio di via. Campese invece di questo foglio prende quello con l’elenco delle persone in attesa di udienza, che il prefetto, insediato da poche ore, non conosce. In mano ai comici la lista diventa una minaccia: quelli che si presentano, ciascuno con un caso drammatico, sono persone reali o attori travestiti? Neanche la morte di uno di loro scioglie l’enigma: con la sua sola esistenza il teatro insidia la logica degli apparati.

L’arte della commedia, è, infatti, la più pirandelliana fra le opere di Eduardo, un vero e proprio “manifesto” politico della poetica teatrale del drammaturgo partenopeo. È una commedia di denuncia da parte degli attori verso la borghesia che censura ideologicamente e materialmente i contenuti di verità che gli artisti vorrebbero esprimere e mette in secondo piano il loro ruolo produttivo in società. Una censura di carattere materiale imposta, che evita di far nascere e pubblicizzare lavori di denuncia sociale, per impedire una sensibilizzazione delle coscienze verso i reali problemi della società. Eduardo infatti denuncia in questa opera la coercizione che il teatro e gli artisti sono costretti a subire dai vari governi, che per distrarre le masse dall’avere un’opinione indirizzano la cultura di massa in una direzione tanto edonista quanto deleteria per le sorti dell’intera umanità, generando confusione, che risulta essere strumentale agli interessi dei potenti. Un capolavoro politico sulla questione teatrale. (da Wikipedia, estratto)

[9] Il carcere dell’Asinara è stato un penitenziario attivo nell’isola sarda dell’Asinara, facente parte del comune di Porto Torres. Istituito nel 1885 e dismesso nel 1998, nel 2002 l’intera isola è stata dichiarata Parco nazionale. Molti detenuti mafiosi sottoposti al regime del carcere duro (secondo l’articolo 41-bis della legge del 26 luglio 1975, n. 354) sono stati reclusi in questo carcere nel periodo compreso tra il 2 settembre del 1992 sino al 1995. (da Wikipedia)

Informazioni su Tano Pirrone 85 Articoli
Sono nato in provincia di Siracusa, a Francofonte, l’antichissima Hydria dei coloni greci, quaranta giorni prima che le forze alleate sbarcassero a Licata. Era il 14 maggio 1943. Ho frequentato il liceo classico, ma non gli studi per giornalista, cui ambivo. Negli anni ’70 ho vissuto due lustri a Palermo, dove ho lavorato in fabbrica, come impiegato amministrativo- commerciale. Nel 1981 mi sono trasferito a Roma per amore di Paola, oggi mia moglie. Sono stato funzionario commerciale e Project Manager nel Gruppo Marazzi. Infine consulente d’azienda per Organizzazione Aziendale e Sistemi Qualità. Curo le piante della mia terrazza, vedo gente, guardo film e serie tv, vado a cinema e a teatro, seguo qualche mostra; leggo, divagando e raccogliendo fior da fiore, e scrivo di cinema, libri e teatro per Odeonblog; di altre cose per me stesso. Ho pubblicato anche su Ponza Racconta, Lo Strillo, RedazioneCulturaNews ed altri siti di cinema e teatro. Ho due figli, Francesco e Andrea, ed avevo un cane, Bam, che sta sempre con me dovunque io vada. Sono faticosamente di sinistra; sono stato incendiario ed ora dovrei essere ragionevolmente pompiere.
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