Perfect Days(2023) di Wim Wenders

di Giulia Pugliese

“Non sono mai stata solitaria: né da sola né con qualcun altro. Ma mi sarebbe piaciuto, in fondo essere solitaria. Solitudine significa: finalmente sono tutto” Il cielo sopra Berlino (1987)
Ci sono dei film che sembrano molto complessi sia nel girato che nei temi, mi vengo in mente film come Arca russa o 2001-odissea nello spazio, poi ci sono film che sembrano piccoli e minori perché non hanno effetti speciali o grandi inventive registiche, ma che nascondono una complessità sia nella realizzazione che nelle tematiche. Wim Wenders è un grande maestro nel farci sembrare semplice quello che in realtà non lo è. Partendo dai bisogni interiori, turbamenti ed incontri dei suoi protagonisti in cui tutti noi riusciamo a riconoscerci. Ma Wim Wenders è anche un regista di luoghi, di città e di paesaggi; l’ultimo grande erede delle sinfonie delle città, che ibridavano documentario e cinema sperimentale, nel narrare la quotidianità della città, esempi tra tutti Il cielo sopra Berlino e Lisbon Story. Inoltre il regista viene spesso chiamato “l’antropologo del cinema tedesco”, ha girato tanto in America, in Portogallo, in Italia (Palermo Shooting), ha girato un documentario sui Buena vista social club, un documentario sul Giappone Tokyo-Ga a dimostrazione che era già precedentemente attratto dalla città di Tokyo: le sue  radici tedesche emergono nei suoi film insieme al suo sguardo profondamente cosmopolita sul mondo e sull’umanità che lo popola.

Alcune immagini del film

Perfect Days riprende moltissime delle tematiche del cinema di Wim Wenders: le giornate perfette di Hirayama, fatte di albe, di musica degli anni ’70 ascoltata su cassette (Lou Reed, The Velvet Undergroud, Patty Smith, Van Morrison, the Animals), di duro lavoro e dedizione a lavare i bagni pubblici dei parchi di Tokyo, di libri e di cene sempre negli stessi posti. Lo spettatore lo accompagna nelle sue giornate, lo segue e un po’ lo invidia. Il film ci mostra un uomo profondamente calato nel suo presente, un uomo al di fuori dal tempo “un’altra volta è un’altra volta, adesso è adesso”, la sua routine fatta di bellezza e scevra da arrivismo, frustrazione e sentimenti negativi, perfino quando quelli intorno a lui sono sgarbati o non si accorgono di lui. Hirayama sembra aver trovato una sua ricetta per la felicità, di lui non sappiamo nulla del suo passato e per i primi 20 minuti del film non dice una parola. La sua vita viene scossa dal ripresentarsi del suo passato, che lo risveglia bruscamente dal suo torpore esistenziale. Lo spettatore può intuire che qualcosa non vada nel subconscio, perché ne segue i sogni in bianco e nero come le foto in analogico che scatta degli alberi, tuttavia sfocate, non chiare e in movimento, come i sogni di Maya Deren in The Meshes of The Afternoon.
Perfect days è inoltre la perfetta sinfonia di Tokyo, riprendendo non per caso Berlino-sinfonia di una grande città, la vediamo svegliarsi, ne vediamo gli scorci, osserviamo le persone che stanno nei parchi, che vanno al lavoro e lo skyline dall’alto. Ma il film è un tributo al cinema muto, grazie alla presenza del suo protagonista Koji Yakusho, che con la sua espressività riesce a colmare le mancanze di dialogo, come un moderno Chaplin giapponese, interpreta un uomo che sceglie accuratamente ogni parola e le centellina, anche se poi è grande amante delle parole altrui attraverso la lettura. I problemi arrivano quando arriva la parola, un po’ come nel cinema con l’arrivo del sonoro, qualcuno non lavorerà più, qualcuno non capirà e come dice il nostro protagonista “sarebbe strano se nulla cambiasse mai”.

Nell’antitesi, del muto e sonoro, si mette anche vecchio e giovane, infatti, Hiramaya è affiancato da un collega giovane che non ha nessuna voglia di lavorare, di buon cuore, ma superficiale come il suo modo di descrivere il mondo fatto di voti numerici, perfetta analogia della critica cinematografica moderna.
Forse Hiramaya ha bisogno della sua routine ferrea per non ricadere in vecchie cattive abitudini? Forse una vita fatta di poche parole e relazioni essenziali è una vita felice? Da un lato la vita d’asceta di Hiramaya e il suo amico clochard, e dall’altro tutto il resto del mondo che corre, cerca relazioni e che sta attaccato alla tecnologia”. Ma la domanda è sempre e solo una: abbiamo bisogno delle relazioni per essere felici? Come dice Wim Wenders:”I grandi film iniziano quando usciamo dal cinema”.

Vedi anche L’intervista a Wenders

Informazioni su Giulia Pugliese 12 Articoli
Giulia Pugliese Scrittrice Educazione 2011 - Master in EUC Group & CEERNT European Project 2006/2010 - Laurea triennale in Cooperazione allo sviluppo Esperienze lavorative 2024 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Odeon 2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online I-Films 2022/2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Long Take Premiazioni Vincitrice del concorso di scrittura per la critica cinematografica over 30 indetto da Long Take Film Festival quinta edizione - 2023
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