Dostoevskij la Serie TV dei fratelli D’innocenzo

di Lorenza Del Tosto

“La nostra carriera nasce a Berlino. Dostoevskij è iniziato qui e qui ora si conclude.”
Sotto questo cielo di piombo è germinata l’opera più spoglia, cupa e magnifica dei Fratelli D’Innocenzo. Dostoevskij: “la storia dell’inverno di un uomo” a caccia di un serial killer tra paesaggi scarnificati, case in rovina, lenzuola luride, resti di cibo, fango e discariche, locali senza avventori, strade senza asfalto.
6 anni fa, dopo la presentazione di La terra dell’abbastanza  alla Berlinale, Sky propone loro una serie. Liberi di scegliere qualunque tema. I fratelli si siedono, ci pensano, buttano giù un’idea e in dieci minuti mandano un messaggio WhatsApp con la proposta.
“Sky non ci ha bloccato il contatto e abbiamo firmato.”

Fabio e Damiano D’innocenzo

Fabio e Damiano D’Innocenzo, seduti in una piccola sala del Adlon Kempisky accanto alla porta di Brandeburgo, sembrano quelli di sempre: cameratismo romano, nessuna vanagloria, l’ironia che ha lo stesso sapore delle cose serie. Lo sguardo insieme sbilenco e diretto: come se ti prendessero le misure per disegnarti poi su un foglio, una tra le figure dei loro storyboard.
“Più che storyboard i nostri sono dei dipinti in miniatura. Noi lavoriamo sempre insieme, di giorno sul set e la sera seduti a disegnare le scene del giorno dopo. La cosa più importante è capire cosa la macchina da presa non deve filmare. Cosa deve restare fuori.”
Sta dicendo Damiano a chi gli chiede se tra fratelli si dividono i compiti.
“No, noi facciamo tutto insieme, in armoniosa armonia. È il nostro modus operandi. È un flusso continuo di scambi verbali e non. Prima lavoravamo come giardinieri e ognuno faceva il suo giardino da solo e non era così bello. Non eravamo così felici.”
E così felici stanno insieme anche qui, lontano dal set.
Aspettano, ognuno dritto sulla sua sedia, in ascolto attento, che l’altro finisca di parlare. Con un gesto pacato, impercettibile stabiliscono chi dei due risponderà alla prossima domanda. Non si seccano mai, apprezzano sempre ciò che l’altro dice, nessun segno di fastidio. Quando Fabio si lancia in una risposta troppo lunga, Damiano può limitarsi a dire: “Se Fabio prende la prima domanda, è finita.”
Ti fanno venire una gran voglia di avere un gemello.
Nella loro armoniosa armonia ognuno dei due è diverso, forse per aiutare gli altri a riconoscerli Damiano oggi è in nero: pantaloni e giacca di pelle. Fabio indossa un completo viola. “Mi sono vestito da Joker. Ma tranquilli…”
Tranquilli certo, se si sono visti i sei episodi di Dostoevskij si è comunque in uno stato d’ipnosi. Di straniamento. Immersi in una condizione esistenziale sconosciuta e insieme familiare. Come quando nei sogni ti ritrovi all’inferno e non ti stupisci poi tanto.
“Il paradosso è che conosciamo la storia a memoria, ci abbiamo lavorato per due anni, ma solo stasera, davanti alla reazione del pubblico, capiremo davvero cosa abbiamo fatto. Non fingiamo di appartenere a qualcosa, il nostro è uno sguardo strabico sul mondo.” Dice Fabio “Una sporcizia malinconica.  Sì, sporcizia malinconica.” Ripete, sorpreso di aver definito l’esatto sapore.  

“Ma il paradosso è che, in realtà, anche se inizia con un tentativo di suicidio, che è un modo di lasciare il mondo, è una storia luminosa. Lei mi può chiedere perché si vuole lasciare il mondo? Io sono italiano e le rispondo per l’Italia. Ma possono esserci altre ragioni. La luce viene dalla possibilità del cambiamento. Il cambiamento è fondamentale ed invece oggi ne abbiamo paura e ne siamo deprivati.  Enzo Vitello, il protagonista, affascinato dalle lettere che l’assassino lascia accanto alle sue vittime, gli dà la caccia perché deve, ma anche perché vuole. È spinto da un bisogno che è ciò che tiene vive le persone: cioè la possibilità di essere qualcos’altro. Amo i film che offrono una seconda chance ai loro personaggi. Ed è sempre più raro trovarli.”
L’interlocutore inglese sorride, un sorriso impacciato. Sa bene qual è la seconda terribile chance data al protagonista. Ma i fratelli lo hanno accompagnato in un processo ineluttabile. Gli hanno spalancato certe porte e lui ha guardato. Non può negare ciò che ha visto e che le cose possano essere come loro le vedono. Non è forse quello che fanno i poeti? Tirano giù il velo e ci rivelano il mondo.
Fabio nota il sorriso impacciato dell’altro.
“Essere qualcosa di diverso, non vuol dire sempre essere qualcosa di più positivo. Per me, personalmente, non ci sono i presupposti per una vita migliore. Ma questo è soggettivo. È la mia idea. L’importante è che l’essere umano possa decidere cosa vuole essere. La ricerca del serial killer è la ricerca di cosa si vuole essere. Questa è la luce nella storia.”
L’armoniosa armonia con un gemello, la creatività, il successo non sono quindi presupposti di una vita migliore?
Ma lasciamo che il flusso continui.   
Dostoevskij ha tempi lenti. È il nostro modo di affrontare l’immagine, se vai troppo veloce lo spettatore non ha tempo di abitarla, di assorbirla, di metterci qualcosa di suo.  Già viviamo in una dittatura del pensiero. Dobbiamo proteggere la nostra autonomia di pensiero, la nostra capacità critica.”
Ogni scena cerca la complessità, niente idee chiare, univoche. Il montaggio è durato 6 mesi. Ogni giorno davanti alla moviola con il montatore/poeta Walter Fasano.
“6 occhi sono un valore aggiunto. Noi cerchiamo la complessità della poesia. Il cinema per noi è l’espressione di un pensiero. Noi facciamo cinema per conoscerci meglio.”
Ecco cosa è successo. Se Berlino è la stessa, sotto lo stesso cielo cupo, loro invece sono cambiati: si conoscono meglio.  Un tempo si esprimevano in modo confuso, la loro arte era un magma in eruzione impossibile da incanalare in parole chiare. “Scusa se siamo confusi” ci hanno detto all’inizio, ma era un retaggio di vecchie critiche ricevute. La loro lingua è lo stesso romano doc, ma levigato come un diamante. Un pensiero tagliente. E se davvero il cambiamento è ciò che ci tiene nel mondo gli armoniosi gemelli avranno buon motivo di restarci.
“Dove diavolo le trovate certe location così scarnificate, opache, malinconiche?”
“Da bravi operai ci siamo alzati presto la mattina, ci siamo messi in macchina e abbiamo cercato i  luoghi adatti ad esprimere l’inverno di un uomo. C’era spazio per un unico stato d’animo: solo così è possibile il cambiamento. L’atmosfera è la cosa più importante, è la scorciatoia per trasmettere l’emozione. Siamo nati in periferia: ci muoviamo bene con gli ultimi e con i penultimi. Perché è da lì che veniamo, è quello il mondo che conosciamo. Non siamo ancora pronti per le altre classi. Ma abbiamo il privilegio di fare un magnifico lavoro: noi siamo la prova che non sono i luoghi a fare le persone, ma le persone a fare i luoghi[1]. In quella terra desolata il nostro protagonista è un fiore che sboccia.”
Provocazione o verità profonda? L’orrore è un fiore che sboccia? Nella loro serie sì: tutto c’è e tutto tiene. Con momenti di altissima poesia.

“Il mondo è pieno di contraddizioni scioccanti. Un narratore deve avere coraggio. È bello avere coraggio. Altrimenti tanto vale aprire un account su Twitter.”
Qualcuno non ci sta. Insomma siete due fratelli pieni di genio. Possibile che solo nella cupezza sboccino i vostri fiori. E chiede:
“Ma la bellezza per voi cosa è?”
Damiano ci pensa su un istante, contento della sfida della domanda.
Quello che dirà varrà anche per suo fratello.  Non danno mai due risposte.
“Già il gesto di cercarla è bello.”


Cercarla con estrema precisione. “Il compito di un narratore è essere preciso. Per questo film abbiamo cambiato tutto il cast tecnico. Non perché gli altri non fossero bravi. Ma perché avevamo lavorato tanto insieme e a forza di lavorare insieme si perde la paura e dai di meno. Abbiamo lavorato in pellicola, per affrontare qualcosa di nuovo, per crearci una difficoltà.  Abbiamo scelto un direttore della fotografia che avesse sempre lavorato in digitale. In modo che fossimo tutti alla nostra prima esperienza.”
Vuol dire cercare gli attori giusti, tutti bravissimi.
“Noi scriviamo i testi con moltissima cura e non prendiamo mai gli attori a scatola chiusa. Ma è anche importante saper riconoscere il talento.”
Di Filippo Timi, protagonista, hanno intuito la malinconia oltre all’enorme talento. Fondamentale, dicono scherzando, è stato vederlo dalle finestre di Piazza Vittorio, uscire dopo il provino e abbracciare un albero.
Filippo Timi è qui con loro a Berlino, insieme a Carlotta Gamba, che interpreta il personaggio della figlia struggente, dolorosa, potentissima.  
Si affacciano un istante come falene attratte dalla luce dei due registi infaticabili che la mattina arrivano due ore prima degli altri e la sera vanno via per ultimi. Mettono cura e passione in ogni cosa. Esplorano curiosi senza mai giudicare. Anche questa è bellezza: la curiosità che non giudica.
“Quando ti mandano le scene per il provino non ti danno indicazioni, non ti dicono niente.” Dice Filippo Timi. “Ma tu senti la poesia. C’è una frase che non dimenticherò: “In cielo un temporale forte come un litigio tra fratelli.” Capisci, ho letto questa frase e mi si è spalancato l’orizzonte.”
Filippo Timi ha un dialogo meravigliosamente confuso con i fratelli, mentre tratteggia l’orizzonte che loro gli hanno rivelato:
“Smetti di giudicare. Senti che devi unire la parte dura a quella morbida dentro di te. Perché il problema più grande è il giudizio su se stessi. Siamo così ossessionati dal giudizio degli altri che finiamo per non trovare più la nostra voce. Non ti giudichi anche se il tuo personaggio prende droghe, farmaci e quant’altro. Anche se il trauma ti ha distrutto. Anche nel disturbo mentale.”

“Sulla malattia mentale” dice Fabio nel suo completo da Joker “c’è un grande tabù. Io prendo farmaci perché ho un disturbo non mi vergogno a dirlo. La malattia mentale è un’estensione del carattere e della difficoltà del personaggio.”
Una ricchezza a suo modo.
Carlotta Gamba, timorosa di non essere all’altezza dell’eloquenza di Timi, esita ,allarga le braccia e dice una frase meravigliosa:
“I gemelli non ti spiegano niente, ma ti danno la vita come se tu dovessi semplicemente attraversarla.”
Che è quello che succede allo spettatore: attraversi una vita e ti accorgi che è anche la tua.
Ne esci cambiato, senti qualcosa dentro, ti sembra di capire cosa è quella luce che si accende, il fiore che sboccia, come ha detto Fabio, anche nella notte più cupa.


Note
[1] Frase presa a prestito da Wim Wenders.

Informazioni su Lorenza Del Tosto 25 Articoli
Lorenza Del Tosto Vive a Roma con le sue figlie e il gatto Leo. Interprete di Conferenza free lance. Tra le sue passioni: le serate di chiacchiere con gli amici, il cinema, la letteratura e l’Aikido. Ha una rubrica Lost in Translation con ritratti di attori e registi per cui lavora. Ha vinto un’edizione del Premio Loria per racconti inediti ed è arrivata finalista in altri concorsi letterari.
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