“Priscilla” di Sofia Coppola (2023)

di Giulia Pugliese

Il mio posto è qui affianco al Re….” Marie Antoniette (2006)

A 20 anni dall’arrivo in sala di Lost in Traslation e dopo il molto sottotono On the Rocks del 2020, Sofia Coppola torna alla 80° Mostra del cinema di Venezia con una storia al femminile sull’ex moglie di Elvis Presley: Priscilla.
Il film prende spunto dal libro Me & Elvis (1985), scritto dalla stessa Priscilla, che parla soprattutto della sua relazione con il re del rock, seguendo in maniera pedissequa tutti i momenti salienti della loro relazione: il loro incontro, quando Priscilla si trasferisce a Graceland, quando si sposano e quando nasce la loro figlia, Lisa Marie. Tratta anche gli aspetti più turbolenti della loro relazione: le litigate, l’abuso di pillole e i tradimenti. Il film non tralascia niente e tratta anche della vita sessuale dei due protagonisti, in maniera morbosa e di cattivo gusto.
Nella prima parte e soprattutto nei titoli di testa, ritroviamo la Sofia Coppola che conosciamo con il suo stile preciso, poi il suo modo di girare si perde in funzione della storia e la regia diventa banale. Il film comunque mantiene una certa coolness tipica dei film di Sofia Coppola, specie nelle scene girate a Las Vegas, dove i due sembrano una coppia di moderni divi.

Il film risulta veramente troppo di parte e fa apparire Elvis come un adolescente del Texas, zotico, distruttivo con quello che gli sta intorno e con se stesso, marito abusante, fedifrago, consumatore di pillole e incapace di prendere in mano la sua carriera da solo, totalmente sottomesso al suo manager e alla sua famiglia.
Priscilla non tiene conto dell’importanza che Elvis ha nel mondo della musica, il primo a mescolare generi musicali dei bianchi e degli afroamericani; il primo divo della storia, in un mondo dove ancora non esisteva la pressione mediatica e il divismo; un uomo che comunque si è espresso sempre contro la segregazione razziale degli Stati Uniti. Un uomo che era spesso vittima di se stesso, di una famiglia e di un manager che gli stava col fiato sul collo. Elvis si è sempre battuto per la sua relazione con Priscilla, anche se questa dal punto di vista della sua immagine, non giovava affatto per la grande differenza d’età tra i due. La scena in cui Elvis proibisce a Priscilla di andare a lavorare, che tanto ci scandalizza adesso, non tiene conto che erano gli anni ’50 e dell’attenzione che c’era su di lui e tutto quello che lo riguardava, infatti non erano molti gli uomini, anche qualunque, che lasciavano andare a lavorare le mogli, specie se non c’erano problemi economici.

Il film non dà alcuno spessore al personaggio di Elvis, è giusto infatti parlare degli abusi e delle angherie, ma il guardarlo con più indulgenza e investigare meglio la sua psicologia, avrebbe aiutato anche a esprimere meglio il rapporto con Priscilla, invece Elvis rimane una macchietta, un adolescente viziato che si diverte a far casino con i suoi amici dei Memphis Mafia, che ricordano tanto i mafiosi dei film del padre della regista. Neppure l’interpretazione di Jacob Elordi, che avrebbe dovuto farsi aiutare dalla sua esperienza in Euphoria, dove faceva il bello e dannato, anche lui abusante nei confronti della sua fidanzata, riesce nella creazione del personaggio e l’attore si è fatto risucchiare dall’icona di Elvis. L’attore era adatto nel ruolo, specie per la voce che ricorda quella del cantante.
Distruggere o mettere in discussione il mito di Presley, non ha comunque messo in luce il personaggio di Priscilla, in quanto appunto il film parla molto del suo rapporto con Elvis e quasi per nulla di lei, che sembra sempre in balia degli eventi, perennemente succube del marito, senza reale spessore psicologico e personalità; emerge il personaggio di una sposa e madre bambina, la cui personalità, ma anche la comprensione degli eventi che viveva non era ben chiara. Nel film il personaggio ha una crescita e in un paio di momenti riesce a imporre le sue decisioni.
Il film non ha una reale indagine psicologica e umana che porti a percepire le scelte del personaggio di Priscilla, tanto che il finale stupisce e sembra voler repentinamente chiudere la storia. L’ottima interpretazione di Cailee Spaeny, vincitrice della Coppa Volpi, viene fondamentalmente sprecata.

Purtroppo il film rimane superficiale sia sul rapporto dei due protagonisti, non facendone cogliere la relazione speciale, che sullo scavo psicologico dei personaggi. Ci sono numerosissimi spunti interessanti che vengono solo accennati: il rapporto tra Priscilla e i genitori, i tempi che cambiano, il rapporto tra Elvis e la musica, l’abuso di pillole, la sua fase ultracattolica, il rapporto con il suo manager “il Colonnello”, tutto rimane in superficie. La superficialità con cui vengono trattati temi evidentemente complessi come una relazione d’amore umana tra una ragazza così giovane e un grande divo, fa si che non si riesca a capire il reale intento del film: non un film su Priscilla perché oggettivamente si parla solo del suo rapporto con Elvis Presley; non vuole avere una funzione documentaristica perché non narra solo i fatti, ma si schiera con una parte; il film rimane esterno anche al contesto storico e alle epoche musicali di Elvis.
Se la volontà era di raccontare una storia di empowerment femminile, di una donna che si riprende la sua libertà, perché capisce che sta vivendo una relazione “tossica”, la cosa desta del dubbio, in quanto Priscilla Beaulieu (il suo cognome da nubile) riesce a far parlare di sé solo tirando in ballo il suo rapporto con Elvis, la sua carriera di attrice non è mai decollata, la si ricorda solo ne Una pallottola spuntata (1988) e ancora oggi ritorna sotto i riflettori solo parlando del suo rapporto con il suo ex marito. Il problema del film sta proprio in questa mancanza di sincerità: Priscilla non si è mai realmente affrancata dal personaggio di Elvis, anche se ha divorziato dall’uomo.

Sofia Coppola che ha sempre avuto una chiara visione estetica, qui la mette da parte per dare spazio alla storia, facendo si che si perda il suo stile, il film risulta uno dei meno forti visivamente, eppure il potenziale per farci rivivere un secondo Marie Antoniette c’era: la storia, il personaggio di Elvis e il susseguirsi delle epoche permettevano di giocare con la creazione di un immaginario visivo. Quello che sinceramente mi auguro é che Sofia Coppola riesca a trovare altre storie che mettano in luce il suo talento, com’era successo con Il giardino delle vergini suicide (1999), il sopra citato Lost in traslation (2003) o Somewhere (2010), sembra infatti che la regista negli anni si sia persa, lei che è sempre stata in grado di mettere al centro i rapporti umani, in questo film non riesce a farlo e il film risulta poco centrato.

Informazioni su Giulia Pugliese 25 Articoli
Giulia Pugliese Scrittrice Educazione 2011 - Master in EUC Group & CEERNT European Project 2006/2010 - Laurea triennale in Cooperazione allo sviluppo Esperienze lavorative 2024 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Odeon 2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online I-Films 2022/2023 - Scrittrice di critica cinematografica per il blog online Long Take Premiazioni Vincitrice del concorso di scrittura per la critica cinematografica over 30 indetto da Long Take Film Festival quinta edizione - 2023
Sottoscrivi
Notificami
guest
0 Commenti
Il più vecchio
Il più recente Il più votato
Feedback in linea
Visualizza tutti i commenti