di Giulia Pugliese
Pamphlet personale e politico su Enrico Berlinguer, un film che arriva tardivamente, ma il personaggio di Berlinguer ha ancora molto da dire sul nostro tempo: l’asse America-Russia, il patto Atlantico, la NATO, la pace e una Russia di ieri che non è cambiata molto. Il non dimenticato, ma mai troppo ricordato segretario del Partito Comunista rivive nel volto dell’ottimo Elio Germano, che riesce a dare spessore al personaggio senza cadere nella semplice imitazione, ma aggiungendo connotazioni naturali, riprendendo il suo accento, la sua postura e i suoi modi.
L’idea di raccontare episodi poco conosciuti della vita di Berlinguer, come l’attentato in Romania e gli incontri segreti con Aldo Moro, dona nuovo spessore e una narrazione inedita al personaggio. Nell’opera si alternano il Berlinguer politico e il Berlinguer uomo, senza che uno prevalga sull’altro, offrendo una visione a 360 gradi del personaggio. I momenti in cui la telecamera è molto vicina al protagonista si alternano a quelli familiari, in cui l’inquadratura si allarga a mostrare il nucleo familiare di Berlinguer, ai momenti nelle fabbriche e ai comizi con migliaia di persone. Nel mostrare la nuca del Segretario (un espediente che abbiamo visto in tanti film alla Festa del Cinema di Roma di quest’anno), non solo lo vediamo da ogni angolazione, ma possiamo concentrarci su ciò che vede lui, esplorando la sua tridimensionalità. Anche la sua famiglia politica è presente: Nilde Iotti (Fabrizia Sacchi), Pietro Ingrao (Francesco Acquaroli) e Luciano Barca (Andrea Pennacchi), solo per citare i più noti, ma nel film compaiono molti membri del Partito Comunista, dando l’idea di una coralità e di un confronto collettivo, di una vecchia politica che oggi non c’è più perché i partiti sono basati sui leader. L’Enrico Berlinguer del film li consulta e li ascolta, pur prendendo a volte decisioni impopolari per il partito. Ma Andrea Segre non si ferma ai 360 gradi: mette in atto una vera e propria radiografia del personaggio. Enrico Berlinguer ci parla anche dei suoi sogni, quindi del suo subconscio, e del suo passato a Cagliari. Il film è un grande affastellamento di privato, pubblico, politico e immagini di repertorio (è stato anche l’anno delle immagini d’archivio al ROFF). Non si ripercorre solo la vita di Berlinguer, ma si cerca di far rivivere un’epoca e i sentimenti che la caratterizzavano e che non esistono più, dove per citare gli Offlaga Disco Pax, “il comunismo era in espiazione”. L’uso dei materiali d’archivio aiuta notevolmente in questo. Viene ribadito con intelligenza che Berlinguer si stava distaccando dal comunismo sovietico, cercando un dialogo con la Democrazia Cristiana. È anche fondamentale ricordare che in quel periodo storico, Allende era stato appena destituito dal regime militare, cosa che il film fa. Viene messa in campo una conoscenza della geopolitica dell’epoca, senza sensazionalismi o caricature dei personaggi, e l’opera ricorda i grandi film biografici dalla vocazione civile come Il caso Mattei e Sacco e Vanzetti.
L’opera contiene anche elementi di assurdo e meraviglioso, come appunto il racconto dei sogni. Anche Andreotti, interpretato da Paolo Pierobon, ne racconta uno, Enrico Berlinguer che cerca soldi nei libri, e l’Unione Sovietica sembra uscita da un film di Wes Anderson. Paolo Cervetti, interpretato da Lucio Patané, a cui Berlinguer chiede se gli manca la Russia, lui risponde: “Mi manca essere giovane”. Questo suggerisce che per un momento i sogni avrebbero potuto coincidere con la realtà, aggiungendo una nota malinconica. Ma siamo davvero sicuri che, se si fosse realizzato il compromesso storico, l’Italia di oggi sarebbe diversa? Il film alla fine ci mostra Margaret Thatcher e Ronald Reagan, e ci fa riflettere su come il mondo e l’Italia abbiano preso direzioni diverse. La politica italiana dell’epoca non è stata così determinante. È facile raccontare che in questo paese tutto è andato male perché le Brigate Rosse (?) hanno ucciso Aldo Moro, allora segretario della Democrazia Cristiana, ma invece è noto che furono i servizi segreti americani e che la mancanza di trattative portò alla sua morte. La scelta di non trattare fu dettata dall’establishment andreottiano del partito. Chi è quindi il boia, e chi aveva previsto tutto? Questa parte nel film viene taciuta.
Il film, alla fine, perde un po’ di lucidità, ma rimane il ritratto di un uomo politico e di un uomo che aveva visto oltre, narrato con semplicità, arguzia e senza stereotipi. La prima parte del film è ben costruita, con ritmo e spessore, ma nella parte finale manca di coraggio e il finale risulta corretto, ma non eccellente.
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