Titane. Cupa ricerca di catarsi

di Pino Moroni

La storia di Titane non è fantascienza, non tratta mondi distopici, di replicanti, di alieni, come i migliori blockbusters od uno dei tanti B movie da piattaforma, ma racconta il futuro più vicino possibile.

La misconosciuta regista, Julie Ducournau è stata abile a far prevalere sentimenti come il dolore fisico e mentale, l’odio e la tenerezza sulla violenza e l’orrore da cui purtroppo è invasa la nostra ipocrita realtà.

Sono soprattutto le immagini di pochi minuti su una operazione chirurgica nell’antefatto del film che dovrebbero far capire, in quel misto di carne, sangue e metallo (titanio), che il futuro prossimo venturo non è la robotica ma la sostituzione o la ricostruzione di “tutte le parti” dell’Uomo (problemi psicologici a parte da analizzare ben oltre le vecchie teorie freudiane) con lamine, griglie, placche, barre, chiodi di metallo.

Sappiamo che già oggi quasi tutto il corpo dell’Umanità tecno-avanzata viene sostituito o ricostruito a piccoli pezzi, con le protesi (polsi, gomiti, spalle, omero, anche, femore, tibia, placche al cervello, al massiccio facciale, alle pareti toraciche, perfino agli organi nobili, compreso il cuore): tutto ovviamente modellato dalla tecnologia del computer, ma ancora frutto di innesti chirurgici, a temperatura corporea e non robotica.

Seconda premessa per capire il nostro presente ancora umano che scivola lentamente in un futuro ibrido, che il film sembra avanzare, è la conoscenza e l’accettazione di esseri umani che si stanno modificando geneticamente, giorno per giorno, per tutta una serie di fattori.

Tra le trasformazioni, reali, in atto, ci sono quelle frutto di esperimenti di laboratorio, che stiamo imponendo alla natura, nel mondo animale, vegetale e minerale (non solo attraverso le manipolazioni di tutti i semi (ogm), la crescita forzata dei vegetali e piante con fitofarmaci, ormoni e cocktail di minerali pericolosi per la nostra salute, ma anche attraverso le manipolazioni dei dna delle varietà animali, rese più produttive ed appetibili con ormoni, antibiotici ed alimentazione proteica da laboratorio).

Titane è anche queste riflessioni.

A questo punto possiamo cominciare a parlare della storia della protagonista del film, Alexia, una giovane che assume l’identità di Adrien un ragazzo, scomparso 10 anni prima, per sfuggire alle pulsioni omicide che i pezzi di titanio immessi nel suo corpo, dopo un grave incidente in macchina, le ispirano, e per non andare in prigione per precedenti omicidi. “Fatemi sempre sapere i suoi disturbi psicologici” aveva avvertito il chirurgo a genitori volutamente ignavi.

Alexia, che pian piano scopriamo è costituita di molteplici protesi (lamine, placche, chiodi) che perdono olio, non sangue, è attratta dalle automobili supercarozzate, mentre non sopporta il contatto con i ragazzi, per ritrovarsi invece a cercare fisicamente il corpo delle ragazze.

È in fondo per sua costituzione più (+) di un LGBT. C’è in lei una fobia per gli esseri umani, che essendo ibrida non sopporta, ed ha l’impulso di uccidere, mentre sente la spinta della sua parte-in-metallo a sedurre le macchine, rimanendo incinta quando fa sesso con una fiammante Cadillac (ma qui siamo fuori di ogni futuro immaginabile possibile).

L’incontro con un comandante dei pompieri (Vincent), che la riconosce come il figlio scomparso anni prima, le fa trovare finalmente quei sentimenti umani (tenerezza, amore, protezione, altruismo, solidarietà) che non aveva mai provato.

Agathe Roussel (Alexia – Adrien) sfoggia una recitazione secca e violenta soprattutto per evidenziare la rabbia della diversità congiunta ad un eccesso di autolesionismo come punizione rivolta più al corpo che al metallo, mentre Vincent Lindon (Vincent Legrand), uomo d’acciaio e di fuoco, che si riempie di droga e steroidi per coprire la dura realtà del lavoro ed una sofferenza esistenziale, si esprime al suo meglio (in tutte le situazioni pubbliche e private) nel suo amore paterno per un figlio perduto e forse ritrovato.

Il film, in conclusione, è volutamente eccessivo nel travolgere la convenzionalità, il buon gusto e la verosimiglianza.

Un film difficile, in cui riescono a prevalere i sentimenti sulle scene di violenza e di orrore verso se stessi e gli altri, come venissero da un essere che non è più umano ma cerca una catarsi per ridiventarlo ancora, attraverso un atto salvifico primordiale, quello di far nascere una nuova vita: un bambino.

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