Edward Hopper, una storia d’amore americana

di Letizia Piredda

I dipinti di Hopper danno l’impressione a chi li guarda, che, di lì a poco, succederà qualcosa di tragico o di violento, vale a dire riescono a trasmettere una tensione, una vera e propria suspence.
Wim Wenders

A conferma di questa tesi, è uscito un libro Ombre, che raccoglie diversi racconti noir di autori famosi, uno per tutti Stephen King, che prendono lo spunto da un dipinto di Hopper. Un esperimento molto ben riuscito in cui gli autori sono entrati nel suo mondo trasformandolo in parole.
Hopper sa fermare sulla tela un momento sospeso nel tempo: un istante con un passato e un futuro che lo spettatore è chiamato a rintracciare [2].
Nel 2019 Wenders dedica un corto a Hopper in occasione della mostra primaverile della Fondation Beyeler a lui dedicata. Nel suo corto Two or three things I know about Hopper, Wenders sottolinea come
il mondo filmico abbia influenzato le opere del pittore nativo di New York, in particolare la luce artificiale degli studi (Murnau, Fritz Lang, i film americani in bianco e nero degli anni ’20 e ’30), gli effetti del basso angolo, le prospettive distorte con uomini e donne soli. Per Wenders, Hopper, tra i pittori, è il più cinematografico, perché prende in prestito i codici della Settima arte: «La luce in Hopper è molto cinematografica. Fa inquadrature che non conosciamo in pittura. Improvvisamente c’è un pittore che prende l’inquadratura del cinema».
Ma dalla fine degli anni ’50 e ’60 accade il contrario: Hopper, nutrito dal cinema, diventa ispirazione per la Settima arte. Fra i celebri esempi di tale influenza abbiamo Alfred Hitchcock, ispirato da House by the Railroad – Casa Vicino alla Ferrovia e Windows at night – Finestre di notte rispettivamente per Psycho e La finestra sul cortile.

Night windows

Lo ritroviamo ne Il grido, di Michelangelo Antonioni, con una stazione di servizio sperduta su di una strada nel mezzo del nulla. Più tardi, Terence Davis ricrea l’atmosfera strana e inquietante delle tele di Hopper per il suo film The Neon Bible – Serenata alla luna, Todd Haines crea repliche di scene dalle tele di Hopper, Jim Jarmush in Stranger Than Paradise – Più strano del Paradiso e Broken Flowers si riferisce alla sensazione di incomunicabilità che tormenta i dipinti di Hopper, David Linch in Mulholland Drive gira scene con donne bionde sole nella loro stanza, proprio come rappresentato nei dipinti di Hopper, Kevin Costner in Balla coi lupi si immerge in classici paesaggi simili a quelli del pittore.
Ma è soprattutto il cinema di Wenders che si è fuso con i dipinti di Hopper.
Lo vediamo ne L’amico americano e in The End of Violence – Crimini invisibili dove ricrea l’esatta replica del bar dell’iconica tela Nighthawks.

Nighthawks

Questo nuovo documentario ad opera di Phil Grabsky indaga la biografia e le opere dell’artista che, meglio di chiunque altro, è stato in grado di immortalare la cultura statunitense, i suoi luoghi e i suoi silenzi. Ripercorre una “storia d’amore americana”, ovvero quella tra Hopper, l’architettura e gli sconfinati paesaggi statunitensi; questo anche grazie alle interviste a studiosi ed esperti, oltre che agli estratti dai diari personali del pittore, che aprono una finestra unica sulla quotidianità dell’artista. Ma anche il rapporto tra Hopper e la moglie Josephine Verstille Nivison – che rinunciò alla sua carriera come artista per fargli da manager e da compagna – e il tema della solitudine, protagonista indiscussa e ricorrente dei suoi quadri. Sono sincera scavare nel carattere di Hopper non ce lo rende particolarmente simpatico. Lo stesso regista afferma: “Inizialmente sono stato attratto dall’idea di un uomo scorbutico, monosillabico e sgradevole, ma ho imparato che questa era una sintesi molto ingiusta dell’uomo Hopper, che è stato molto più complicato e complesso di così.” Anche il rapporto con la moglie, inizialmente molto intenso ed entusiastico, diventa molto conflittuale, dato che la rinuncia della moglie alla sua carriera per sostenere il marito, alla lunga finisce per trasformarsi in un boomerang dove finiscono per prevalere le rivendicazioni e l’insoddisfazione personale.
Il documentario ha però il pregio di farci vedere dipinti di grande bellezza a noi sconosciuti. E se da un lato riprende il tema della solitudine, che ricorre continuamente nei quadri del pittore, dall’altro avanza anche un’ipotesi diversa da quella dominante: la solitudine non va vista sempre e comunque come un elemento negativo, ma può essere interpretata anche come un momento in cui stiamo con noi stessi, serenamente, per pensare, per riflettere. Sarebbe quindi una solitudine abitata, totalmente in contrasto con la solitudine abbandonica, angosciosa, esistenziale.
Oppure si può stare insieme, nello stesso luogo, e fare due cose diverse, come nel quadro qui sotto:

E anche in questo caso possiamo dare interpretazioni diverse: solitudine a due, oppure insieme ma presi da attività diverse.
Un’altra connotazione particolare di alcuni dipinti di Hopper, che viene sottolineata, è quello di essere chiusi: ad esempio il quadro più famoso Nighthawks non ha nessuna entrata, quasi a sottolineare il totale distacco del mondo notturno all’interno del bar, dal resto del mondo.
Sicuramente la particolarità di Hopper, il suo tratto distintivo, che possiamo ritrovare in ogni suo quadro è data dall’importanza di ciò che lascia fuori rispetto a ciò che mostra.


Note
[1] AA.VV Ombre. Einaudi, 2017
[2] Lawrence Block in AA.VV Ombre, Einaudi, 2017

vedi anche Wenders e Hopper

Informazioni su Letizia Piredda 179 Articoli
Letizia Piredda ha studiato e vive a Roma, dove si è laureata in Filosofia. Da diversi anni frequenta corsi monografici di analisi di film e corsi di critica cinematografica. In parallelo ha iniziato a scrivere di cinema su Blog amatoriali.
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