Macbeth apre la Stagione alla Scala

Lascio Zeffirelli e fuggo con Nolan: la consacrazione di Davide Livermore come regista di opere liriche

di Tano Pirrone

Eravamo fra quelli che facevano buuh (silenziosamente, o a bassissima voce con i compagni di teatro) al termine delle Coefore-Eumenidi, quest’estate al Teatro greco di Siracusa e che il buuh abbiamo motivato credo in modo chiaro e comprensibile in articolate recensioni, criticando Livermore e la sua strabordante kermesse.

Ieri sera, però, dal divano di casa abbiamo applaudito, ripetutamente e convintamente, alle geniali soluzioni del regista Livermore per la messa in scena dell’opera di Giuseppe Verdi.

Opera non fra le maggiori del grande maestro, ma che, dalla riscoperta del 1952 con la Callas Lady Macbeth e Victor De Sabata alla bacchetta, è andata in crescendo nelle qualità e nell’apprezzamento del pubblico e della critica. L’esecuzione di ieri sera, in onore del santo patrono meneghino – vescovo riluttante e innovatore rituale – ha rappresentato forse la sua acme e a questo risultato ha contribuito notevolmente l’ideologia interpretativa di Livermore.

L’opera lirica è al contempo teatro, musica e canto: un palcoscenico, limitato nello spazio, una distanza costante con gli spettatori, nessuna intromissione di questi ultimi nello spettacolo, se non al termine per declinare il loro consenso o il loro dissenso, di norma con gli appalusi o con i buuh. Ieri sera gli applausi sono stati una caterva, ma erano presenti anche sonori buuh indirizzati al regista per la stravolgente scenografia e per le significative innovazioni nei costumi e nei movimenti degli attori: uso propriamente il termine ‘attori’, perché non erano presenze vestite con costumi d’epoca e votati solo al canto corale, ma attori che hanno recitato, bene, ballato, bene, cantato, bene.

Il cinema e la sua figlia “necessaria” – la tivù sempre più patricida – sono caratterizzati da immagini reali e in movimento fissate da un mezzo e tramite queste fornite ai fruitori. Si può dire che il prodotto è identificabile con il mezzo (com’è stato detto da McLuhan). Molti lavori teatrali (le più diverse discipline: parole, gestualità, danza, musica nelle più svariate combinazioni fra esse) sono stati in passato ripresi dalla televisione e forniti in visione al vasto pubblico, non necessariamente composto di appassionati competenti di teatro o melomani maniaci e onniscienti: eterogenee moltitudini di spettatori mitemente amanti dell’un genere e dell’altro, o della novità. Tanti, quelli che a casa non sono mai entrati in un tempio della lirica o in un teatro di prosa. Le tecniche di “conversione” si sono succedute e man mano migliorate, ma ieri sera al Teatro alla Scala è stata data la prima di uno spettacolo, pensato, progettato e realizzato con poche sbavature per il canale principale della Rai. Ha ottenuto, leggo, “solo” due milioni e sessantaquattro mila ascolti. Che sono tantissimi, ma insignificanti rispetto, per esempio, agli oltre dieci milioni per il Festival di Sanremo o a quelli di grandi eventi sportivi, come nel 1990 per la finale dei mondiali, stimati in 27 milioni e passa. Direi che per un evento culturale (per favore lasciate perdere per un attimo quella cacca del diavolo che è la parola “intrattenimento”!) gli ascolti sono stati tanti e certamente qualitativamente adeguati. Possiamo dire che sono pari a quanti avrebbero avuto accesso (biglietto[1], viaggio e permanenza non presi in considerazione) a più di mille rappresentazioni.

Livermore ha sostanzialmente diminuito la carica melodrammatica dell’opera (dando un addio, speriamo, al sempre troppo presente Zeffirelli) seguendo la strada aperta da alcuni bravi registi di cinema, fra cui primo, certamente, Christopher Nolan[2] e, in particolare, la sua opera onirica Inception[3]. Non vogliamo dire, com’è stato detto – in modo esemplificativo e brutale – che Macbeth è stata trasformata in un’opera fantascientifica o, come piace tanto dire adesso, distopica. Ha reso invece comprensibile a tutti, ma soprattutto ai più giovani il senso terribile della tragedia che è consumata nell’opera shakespeariana messa in musica dall’insuperato cigno di Busseto: il senso del potere per il potere, l’insignificante valore della vita di chicchessia, anche parenti, affini, amici, bambini pur di ottenere il potere assoluto, che comprende, naturalmente il diritto di vita o di morte, di libertà o detenzione, di parola o di silenzio. Non è soltanto un’opera sulla dittatura (come ama ripetere a ogni piè sospinto il regista torinese), ma sulla brama di potere, che gli orchi e le streghe hanno su di noi; sull’esilità dei rimedi, che non passino dai filtri della consapevolezza politica e del dolore di ognuno e di tutti.

La parola magica è stata detta, più volta ripetuta; io l’ho solo ripresa: giovani! Bisogna che il teatro, il cinema, la musica lirica e sinfonica, i libri, le arti visive attirino i giovani, li attraggano. Noi imparammo perché avemmo l’opportunità di vivere in contesti che producevano interessi: imparammo i libri, la musica, i quadri, il teatro, le statue, il cinema e anche la lirica e l’operetta. È il contesto che produce stimoli e crescita: la famiglia è oggi slabbrata, poco efficiente e disorientata, e c’è sempre il problema di chi ha ma non fa e di chi non ha e vorrebbe fare (vecchio problema che non interessa nessuno tranne chi non ha, che son poi tanti); della scuola si sorvola: non vi si studia né arte, né musica, il bello è tenuto lontano oppure pesantemente travisato; la società in genere brancola e cerca di mettere insieme il pranzo con la cena. Le istituzioni come la Rai dovrebbero essere avanguardie per penetrare questo continente in movimento, mai lo stesso, che non si può rincorrere e che questo spettacolo può impattare positivamente, solo se si sa come fare e si ha coscienza dell’immane compito. Non certo com’è stato fatto. La Rai ha pensato a un duo, allargato per un po’ a un trio, che doveva raccontarci la storia: Bruno Vespa, grande esperto di lirica e ottimo narratore, affiancato dalla bella Milly Carlucci, che sapeva benino molte cose a memoria e il terzo, tale Cattelan, classe 1980 chiamato come giovane, ma che ha subito messo le mani avanti dicendo che di lirica ci capisce poco e non è poi così tanto giovane, avendo brillantemente fatto la sua entrée nel mondo variegato degli Anta. Il trio è stato vittima di una pessima sistemazione e di un altrettanto pessimo funzionamento dell’audio. Non si è capito più di tanto. Speriamo che qualcuno provveda a posteriori: riprogettando la tipologia dell’intervento e spostando i responsabili, non solo tecnici, del pessimo servizio altrove, magari a X Factor o al Festival di Sanremo.

Alcune cose avremmo dovuto dirle all’inizio; ne scriviamo ora, così rimarranno, forse, più impresse: viva la commozione per l’applauso al Presidente Mattarella, lungo quattro minuti e qualche bis bis, come se fossero rivolti a un interprete; la bacchetta del maestro Riccardo Chailly eretta come una spada in onore del Presidente, Chailly, che ha consegnato alla storia del Teatro alla Scala e a tutti gli appassionati un’edizione memorabile anche dal punto di vista musicale e filologico; perfetti i protagonisti, l’orchestra, i comprimari, il coro, i danzatori. Straordinario l’allestimento floreale del teatro, opera di Armani.


[1]    In platea i posti costavano (leggiamo dal sito della Scala 3.000 euro). Avremmo ritenuto utile chiedere ai sottoscrittori oltre il Green Pass speciale, anche una dichiarazione dei redditi e poi fare, magari una riflessione sulla modifica del sistema fiscale, che ha fatto imbestialire due dei tre sindacati nazionali, che hanno ragione ad imbestialirsi, forse un po’ meno a indire lo sciopero.

[2]    Christopher Nolan è un regista sceneggiatore e produttore cinematografico britannico. È uno dei registi con maggiori incassi nella storia del cinema con oltre 5 miliardi di dollari. Ha diretto la trilogia del cavaliere oscuro (Batman Begins, 2005; Il cavaliere oscuro, 2008; Il cavaliere oscuro – Il ritorno, 2012), Memento, 2000; The Prestige, 2006; Inception, 2010;Interstellar, 2014; Dunkirk, 2017 e Tenet, 2020.

[3]    Inception è un esercizio di stile scrittorio e di regia asservita, una sovraesposta e fin troppo palese ‘dichiarazione di poetica’, come si diceva una volta. C’è, per Christopher Nolan, un evidente ritorno al tema della memoria, sul quale era imperniato il suo film/gioiello Memento, e c’è, come e più che in The Prestige, il gioco di prestigio dello/nello script, l’ingegnosità della sceneggiatura eletta a protagonista assoluta. Perché Inception non è esattamente un complesso thriller fantascientifico, quanto un film di/su un regista/sceneggiatore che si mette alla prova nell’autovalutazione dei propri limiti. Correndo anche diversi rischi […]. (glispietati.it)

Informazioni su Tano Pirrone 85 Articoli
Sono nato in provincia di Siracusa, a Francofonte, l’antichissima Hydria dei coloni greci, quaranta giorni prima che le forze alleate sbarcassero a Licata. Era il 14 maggio 1943. Ho frequentato il liceo classico, ma non gli studi per giornalista, cui ambivo. Negli anni ’70 ho vissuto due lustri a Palermo, dove ho lavorato in fabbrica, come impiegato amministrativo- commerciale. Nel 1981 mi sono trasferito a Roma per amore di Paola, oggi mia moglie. Sono stato funzionario commerciale e Project Manager nel Gruppo Marazzi. Infine consulente d’azienda per Organizzazione Aziendale e Sistemi Qualità. Curo le piante della mia terrazza, vedo gente, guardo film e serie tv, vado a cinema e a teatro, seguo qualche mostra; leggo, divagando e raccogliendo fior da fiore, e scrivo di cinema, libri e teatro per Odeonblog; di altre cose per me stesso. Ho pubblicato anche su Ponza Racconta, Lo Strillo, RedazioneCulturaNews ed altri siti di cinema e teatro. Ho due figli, Francesco e Andrea, ed avevo un cane, Bam, che sta sempre con me dovunque io vada. Sono faticosamente di sinistra; sono stato incendiario ed ora dovrei essere ragionevolmente pompiere.
Sottoscrivi
Notificami
guest
1 Comment
Il più vecchio
Il più recente Il più votato
Feedback in linea
Visualizza tutti i commenti
Tano

Patrizia A.
Condivido in pieno e sottoscrivo. Mi permetto solo di aggiungere che Livermore mi è piaciuto molto anche nelle interviste in cui mi è capitato di ascoltarlo.
Tano
Su Livermore ci si divide. Hai letto le mie recensioni degli spettacoli classici di Siracusa di quest’anno?

Rosa Maria S.
Tra i pregi e i difetti vince una messa in scena elegante, tecniche grafiche non scontate, adeguatamente teatrale. Peccato un balletto banale lontano dai Momix.
Tano
Peccato che i Momix non c’entrassero nulla col contesto. A me il balletto non è dispiaciuto, ma io ho un contenzioso con il regista…
Rosa Maria
Il coreografo è quello dei Momix.
Tano
Livermore decide e controlla tutto; è un animale di fatica. Poteva evitare la spadata sotto il braccio. Ti ho mandato a suo tempo le recensioni dei tre spettacoli classici di Siracusa con la critica alle Coefore-Eumenidi?
Rosa Maria S.
No.
Tano
Ecco i link;
https://www.odeonblog.it/2021/08/09/coefor%d1%94umenidi-di-eschilo/
https://www.odeonblog.it/2021/08/07/baccanti-di-euripide/
https://www.odeonblog.it/2021/08/11/le-nuvole-di-aristofane/
https://www.odeonblog.it/2021/08/29/eschilo-e-le-radici-del-pensiero-occidentale-1/
https://www.odeonblog.it/2021/09/06/eschilo-e-le-radici-del-pensiero-occidentale-2/

Gianni P.
Carissimo Tano, apprezzo moltissimo le tue recensioni, fra le poche fuori dal dilagante rumore del conformismo di maniera. Dai tuoi scritti emerge il pensiero critico, dialettico, ma fermo e chiaro nella scelta della posizione e del giudizio. Recensioni curate anche nella forma, nei riferimenti e nel contesto. Grazie ancora.

Mapi
Sono assolutamente d’accordo.

Alessandro A.
Ormai sei una “penna digitale” ultranavigata”. Bellissimo l’articolo sulla Wertmüller, e anche quello sul Macbeth che però non ho visto, mannaggia a me, che mi sono scordato! Ho letto però delle polemiche sul fantascientifico e sul distopico che tu gestisci a meraviglia…

Gian Paolo G.
Grande Tano!

Siretta N.
Anche io sono rimasta felicemente sorpresa dalla scenografia, dalla recitazione, dai movimenti, dal canto perfetto senza gigionamenti compiaciuti, ma convincente e superlativo. Interessanti, inutile dire, anche gli altri articoli (Pupi Avati e le donne nella tragedia greca). Sono sintetica per educazione, ma certo il discorso meriterebbe un articolato dialogo. Come sempre, grazie e alle prossime benvenute letture.

Enrico D.
Caro Tano, ho seguito con interesse e simpatia il tuo scambio epistolare con Francesco Merlo su Repubblica e condivido in pieno il tuo giudizio su Livermore e Lina Wertmuller. Un abbraccio.

Emilio J.
Grazie tante, Tano. Complimenti,

Gianni S.
Non sono un esperto di lirica, tuttavia l’allestimento del Macbeth scaligero mi è piaciuto assai, pur avendone visto poco meno di un atto. Condivido quindi il tuo entusiasmo. Mi piace assai l’immagine del direttore d’orchestra che omaggia la più alta carica dello stato con la sua ‘magica’ bacchetta.

Francesco
Giovani: categoria che non mi appartiene più tanto, però io credo che l’Opera come tutte le altre manifestazioni del Bello che invadono la nostra Italia, andrebbe veicolata in nuovi modi. Vedi una bella collana di fumetti.
Tano
Bellissima idea quella del rifare le opere a fumetti / animazione. Ti ricordi come ti ho fatto appassionare alla musica classica con Fantasia di Walt Disney?
Francesco
Non posso dimenticare Una notte sul Monte Calvo. Ogni tanto pure ora mi capita di riascoltarla e poi la magia di Topolino Apprendista stregone.