Eschilo e le radici del pensiero occidentale (2)

Agamennone (Άγαμέμνων)

di Tano Pirrone

Lo dice chiaramente Pier Paolo Pasolini, cui Vittorio Gassman affida nel 1960 la traduzione della trilogia, che andrà in scena al Teatro greco per la regia di Gassman e di Luciano Lucignani. Il testo riportato è la seconda parte della sua nota sulla traduzione dell’Orestea [1], che lui chiama L’Orestiade.

[…] «Il significato delle tragedie di Oreste è solo, esclusivamente, politico. Clitennestra, Agamennone, Egisto, Oreste, Apollo, Atena, oltre che essere figure umanamente piene, contradditorie, ricche, potentemente indefinite (si veda la nobiltà d’animo che persiste nei personaggi moralmente e politicamente “negativi” di Clitennestra e Egisto) sono soprattutto – nel senso che così stanno soprattutto a cuore all’autore – dei simboli: o degli strumenti per esprimere scenicamente delle idee, dei concetti: insomma, in una parola, per esprimere quella che oggi chiamiamo una ideologia.

Il momento più alto della trilogia è sicuramente l’acme delle Eumenidi, quando Atena istituisce la prima assemblea democratica della storia. Nessuna vicenda, nessuna morte, nessuna angoscia delle tragedie dà una commozione più profonda e assoluta di questa pagina.

La trama delle tre tragedie di Eschilo è questa: in una società primitiva dominano dei sentimenti che sono primordiali, istintivi oscuri (le Erinni), sempre pronte a travolgere le rozze istituzioni (la monarchia di Agamennone), operanti sotto il segno uterino della madre, intesa, appunto come forma informe e indifferente della natura.

Ma contro tali sentimenti arcaici, si erge la ragione (ancora arcaicamente intesa come prerogativa virile: Atena è nata senza madre, direttamente dal padre), e li vince, creando per la società altre istituzioni, moderne: l’assemblea, il suffragio.

Tuttavia certi elementi del mondo antico, appena superato, non andranno del tutto repressi, ignorati: andranno, piuttosto acquisiti, riassimilati, e naturalmente modificati. In altre parole: l’irrazionale, rappresentato dalle Erinni non dev’essere rimosso (ché poi sarebbe impossibile), ma semplicemente arginato e dominato dalla ragione, passione producente e fertile. Le Maledizioni si trasformeranno in Benedizioni. L’incertezza esistenziale della società primitiva permane come categoria dell’angoscia esistenziale o della fantasia nella società evoluta.

Questa, non altra, è la trama dell’Orestiade. E come si vede, la sua allusività politica era quanto di più suggestivo vi potesse dare in un testo classico, per un autore come io vorrei essere.» Pier Paolo Pasolini

* * *

Il tema dell’ira, della violenza del potere è affrontato con estrema chiarezza da Alessandro Alfieri [2] nel suo recente VIDEO WEB ARMI [3]. Leggiamo insieme quanto scrive:

La trasfigurazione dell’ira accumulata e della violenza in amministrazione della legge è il fulcro della narrazione delle Eumenidi, l’ultimo episodio del ciclo dell’Orestea di Eschilo. Nelle Eumenidi, Clitennestra invoca le […] Erinni […] al fine di vendicare il suo assassinio. Il matricidio di Oreste deve essere punito, ma Oreste ha dalla sua parte gli dei greci, Apollo ma soprattutto Atena. Atena dea della giustizia, imparziale e saggia, riesce a mettere sotto giudizio le azioni di Oreste in un processo regolato da essa stessa. In questo processo sia Oreste che le Erinni hanno la possibilità di esporre le loro ragioni, per rimettersi al giudizio del collegio dei saggi della città. Le Erinni rivendicano continuamente la loro “maggiore età”, la nobiltà dovuta alla loro vecchiaia, nei confronti di quelle divinità giovani come Apollo, senza rispetto per le divinità delle origini. Il processo volge a favore di Oreste: i voti alla fine sono pari, e Atena decreta l’assoluzione dell’eroe greco. L’assoluzione di Oreste provoca l’ira delle Erinni, che giurano di tormentare la terra con atroci veleni, di distruggere tutte le case e di scaricare il loro odio su tutte le generazioni future. Atena dall’alto della sua saggezza, riesce a riportare le Erinni alla ragione, rivendicando che nessuno ha mai messo in questione la loro importanza e la loro autorità. Atena riesce ad evitare la catastrofe re-inserendo le Erinni all’interno di un contesto legale e razionale. Le dee della vendetta devono continuare a operare per merito della loro anzianità, e la radice del loro operare, il “tremendo”, non deve essere abolito assolutamente ma sfruttato all’interno di una regolamentazione che dia forza alle istituzioni politiche. Le Erinni si calmano, sigillando un patto di alleanza con Atena e gli dei dell’Olimpo, nonché con l’uomo e gli eventi della storia.

Non sarebbe potuto essere altrimenti, dato che già i greci avvertivano come la violenza fosse un carattere che non può essere totalmente rimosso dal comportamento umano; sarebbe inutile nonché nocivo ritenere che sia possibile cancellare la violenza dalle sorti dell’uomo, dato che appartiene al suo animo e alla sua natura temporale. Atena, ovvero la giustizia, deve essere in grado di arginare e regolarizzare questo sentimento umano, per non far precipitare il futuro dell’uomo nel caos e nell’anarchia.

Il potere delle Erinni si fonda sul terrore che incutono: ora, in previsione di una possibile destituzione, esse cercano di preservare non più il loro ruolo, ma il “tremendo” su cui il loro ruolo si fonda. Una volta ammessa la possibilità di una sconfitta, le Erinni, piuttosto che dismettere del tutto il loro potere, sono pronte a delegarlo. Abilmente i démoni assumono i toni di benevoli consiglieri: preservare il “deinon”[4] è un precetto utile per l’etica individuale, ma anche una garanzia per la stabilità della città. Da forza incontrollata, demoniaca, il tremendo diventa paradossalmente, per via di questo ragionamento, il limite costitutivo dell’ordine, il deterrente che garantisce una vita regolare e civile. (Monica Centanni, ‘Commento alle Eumenidi’ in ‘Eschilo. Le tragedie’, Mondadori, Milano 2007, p. 1117. È nota l’interpretazione di Emanuele Severino, che rintraccia proprio in questo episodio il sorgere della filosofia e dell’ ‘episteme’ come origine della violenza dell’Occidente (cfr. E. Severino, ‘Il Giogo. Alle origini della ragione: Eschilo’, Adelphi, Milano 1989).

Dinanzi a un regolare processo, la vendetta non può che dichiarare la sua sconfitta, in quanto la sua natura intrinseca non può che perire dinanzi alla razionalità delle leggi. La giustizia e la vendetta sono in netta opposizione; questa, però, ci dice il mito, non significa affatto che la legge e la regolamentazione del vivere civile siano in grado di rimuovere totalmente la violenza, ma che esse siano state fondate proprio con l’intenzione di regolare queste forze demoniache insopprimibili nell’uomo. La violenza non è una colpa, bensì si pone prima della colpa stessa, prima di tramutarsi in vendetta e in odio. Dato che il “tremendo” su cui fa leva la forza della violenza comporterebbe il caos, il terrore e la distruzione totale della città e del genere umano, pragmaticamente la soluzione adottata dai greci e da tutto l’occidente a venire, è di erigere dei sistemi di legge in grado non di azzerare e nientificare la vendetta (cosa che sarebbe impossibile), ma di evitare proprio quella distruzione irrazionale di cui le Erinni sono capaci. Atena è riuscita ad ammansire le Erinni, in maniera anche astuta, se vogliamo; le Erinni saranno ribattezzate, nella tradizione letteraria greca, Eumenidi, per cercare di preservarne il valore positivo, per addolcirle e continuare a tenerle a bada. Con la violenza, insomma, bisogna scendere sempre a patti. Atena, ovvero il logos, si inserisce all’interno delle sorti umane nella seguente maniera: l’animo umano e la sua “libertà” non sono declinabili in senso assolutamente razionale, anzi, i due poli opposti che regolano il nostro comportamento, il perdono e la vendetta, hanno a che fare più col “pathos”, ovvero col rifiuto della razionalizzazione che è in grado di spostare la responsabilità delle azioni dalle singole persone a entità più astratte, Atena, o meglio la legge, nasce esattamente in questo spazio, proprio al fine di regolare razionalmente la nostra convivenza, tutelandoci da noi stessi.

Il potere si sostiene grazie alla violenza, una violenza spesso trasfigurata, spesso “dormiente” o “latente” che però in diverse occasioni fa riemergere la propria furia: sono le Erinni tramutate in Eumenidi, ammansite da Atena, che però restano nel sottosuolo della polis pronte a mettersi al servizio della giustizia stessa. Il potere infatti non opera secondo un principio di obbedienza immediata, che è invece il piano dell’ “arma puntata contro”, dove la violenza si palesa nella dispersione dell’efficacia del potere, e dove, come direbbe Jacques Deridda, forza e potere entrano in collisione (cfr. J. Deridda, “Incondizionalità o sovranità”, Mimesis, Milano 2008.

* * *

Viviamo in tempi strani, amico mio, tempi in cui tutto è spettacolo, o a ad esso riportabile: la cerimonia funebre, che una volta si concludeva con il silenzio ossequioso o il balbettio della preghiera nel ricordo della persona defunta, ora è annichilita dal frastuono sciocco e incomprensibile di applausi. La vita è una recita e, qualunque sia stata la qualità della performance, si ha “democraticamente” diritto al proprio applauso. Qualche piattaforma che fornisce film o ancor più serietivù non si limita ad augurare una buona visione, ma assicura che ci stupirà. Il limite della normalità – dell’umano limite di godimento e di soddisfazione – è soggetto a veloce obsolescenza e arretra come la spiaggia rosicata dal moto continuo e inconscio delle onde. Non basta andare a mare e passare una bella giornata, o fare una passeggiata per i boschi: il brivido si prova solo se si fa parapendio o peggio bungee jumping, e non da un posto qualunque, ma dal ponte più alto, sennò che gusto c’è, o addirittura dal Salto Angel in Argentina. E non basta più avere una cerchia di amici: ora se non sei influencer e non hai miliardi di followers non sei nessuno, ma proprio nessuno. Questo è l’insieme in cui sono inquadrate tutte le attività culturali, compreso il Cinema (ormai perso) e il Teatro e all’interno di questa grande tradizione, il Teatro greco, Tragedie e Commedie, che è quello che più abbiamo a cuore. È il Teatro che già ri-pulsava in Europa e che la generosa ed intelligente, appassionata opera dei Gargallo produrrà in Italia la tradizione nobilissima delle Rappresentazioni classiche di Siracusa, nel ritrovato Teatro greco ad opera dell’Orsi. È il Teatro fatto grande dalla laboriosa attività dell’Inda che ha resistito anche a periodi di oscuro uso di parte della ricchezza che esso Istituto conserva e trasmette. Ottimi dirigenti e idee chiare, ma traspare l’ansia – decuplicata per via della ancor corrente pandemia – di fare fatturato. Che è giusta ansia, giusto impegno per uscire dalla morta gora della dipendenza politica, del ricatto occupazionale, delle linee guide del potentato di turno o altrettanto peggio dell’ultima idea trendy (l’ipermodernità quotidiana agguerrita e mordace); ma custodendo e curando ricchezze inestimabili come i beni culturali, i beni che non sono nostri, ma dell’umanità tutta, dobbiamo tenere conto della loro deperibilità, ancora di più per i beni non tangibili. Il direttore del museo curerà che non vengano rubati i tesori custoditi, che non vengano alterate le atmosfere ben equilibrate e che le luci siano adeguate a mantenere i colori e le chimiche delle vernici. La tragedia greca può morire svilendone l’essenza, svuotandone il contenuto filosofico che essa contiene, che ad essa è stato affidato da grandi scrittori e filosofi come i tragici greci, prima fra tutti Eschilo.

«Gargallo si adoperò non tanto per istituire una kermesse di rappresentazioni, quanto per dare corpo a un’operazione culturale dallo spirito “divulgativo” come egli stesso spiegò nel 1920 all’archeologo Giulio Emanuele Rizzo.»[5]

L’indicazione è già scritta, chiara e lapidaria: E se la via dello spettacolo fosse la via della conoscenza, della liberazione, della vita insomma?[6]


Note

[1]    Eschilo – L’Orestiade – Pier Paolo Pasolini, L’Unità/Einaudi, Scrittori tradotti da scrittori/10, 1996

[2]    Alessandro Alfieri è docente di Etica della comunicazione e Teoria e metodo dei mass media presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Filosofo e saggista, negli ultimi anni si occupa prevalentemente di immaginario contemporaneo e cultura di massa.

[3]    Alessandro Alfieri – VIDEO WEB ARMI. Dall’immaginario alla violenza del potere – Rogas edizioni, 2021

[4]    Che desta terrore, spavento, timore, preoccupazione; terribile; tremendo.

[5]    Orestea atto secondo. La ripresa delle rappresentazioni classiche al Teatro greco di Siracusa dopo la Grande guerra e l’epidemia di Spagnola (a cura di Marina Valensise e con la supervisione di Davide Livermore – Electa, 2021

[6]    Friedrich Nietzsche – La nascita della tragedia – Adelphi (Nota introduttiva di Giorgio Colli, pag. XV)

Leggi anche: Eschilo e le radici del pensiero occidentale 1

Informazioni su Tano Pirrone 87 Articoli
Sono nato in provincia di Siracusa, a Francofonte, l’antichissima Hydria dei coloni greci, quaranta giorni prima che le forze alleate sbarcassero a Licata. Era il 14 maggio 1943. Ho frequentato il liceo classico, ma non gli studi per giornalista, cui ambivo. Negli anni ’70 ho vissuto due lustri a Palermo, dove ho lavorato in fabbrica, come impiegato amministrativo- commerciale. Nel 1981 mi sono trasferito a Roma per amore di Paola, oggi mia moglie. Sono stato funzionario commerciale e Project Manager nel Gruppo Marazzi. Infine consulente d’azienda per Organizzazione Aziendale e Sistemi Qualità. Curo le piante della mia terrazza, vedo gente, guardo film e serie tv, vado a cinema e a teatro, seguo qualche mostra; leggo, divagando e raccogliendo fior da fiore, e scrivo di cinema, libri e teatro per Odeonblog; di altre cose per me stesso. Ho pubblicato anche su Ponza Racconta, Lo Strillo, RedazioneCulturaNews ed altri siti di cinema e teatro. Ho due figli, Francesco e Andrea, ed avevo un cane, Bam, che sta sempre con me dovunque io vada. Sono faticosamente di sinistra; sono stato incendiario ed ora dovrei essere ragionevolmente pompiere.
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