Zlatan alla Festa del Cinema

di Lorenza Del Tosto

All’epoca nessuno avrebbe creduto che Zlatan, quel ragazzino maldestro, una sorta di pagliaccio, che i professori, a scuola, impazzivano a tenere fermo, sarebbe diventato Zlatan Ibrahimović, l’idolo, il leone. Nessuno. Dichiara assertivo Jens Sjögren, venuto a presentare il suo Zlatan (in uscita in Italia l’11 novembre distribuito da LuckyRed) alla Festa del Cinema di Roma edizione 2021. Ed è proprio quell’epoca, nella vita di Ibra, che a lui interessava. I momenti dell’infanzia fatti di passione, confusione, solitudine, di scontro con il mondo, che ognuno, anche l’uomo più famoso, si porta chiusi dentro.

Zlatan me lo ha detto: quando scende in campo spesso gli passano davanti agli occhi  certi momenti della sua vita passata. Ci sono ricordi che lo fanno sentire più forte, altri più debole…Con quei ricordi abbiamo fatto il film. Lancia un’occhiata ai due ragazzi,  seduti accanto a lui, bravissimi interpreti di Zlatan in età diverse, che annuiscono con vigore e guardano sorpresi il  giornalista che si è avvicinato per catturare nel registratore i loro impronunciabili nomi svedesi.

Jens Sjögren ,regista, Dominic Bajraktari Andersson, Zlatan a 11-13 anni e Granit Rushiti , Zatlan a 17-23 anni

Jens  Sjögren dice di slancio il regista, che sembra una creatura uscita da una saga nordica degli anni 70: piccolo, capelli lunghi sulle spalle, occhiali, barba e immensa energia vitale. Granit Rushiti, pronuncia nel registratore il ragazzo alto, seduto accanto a lui, le gambe allungate davanti alla sedia sembrano non finire mai. Interpreta Zlatan tra i 17 e i 23 anni, e sorride sornione come già sapendo che è solo una questione di tempo perché arrivi la gloria e poi, a chiudere il terzetto, un ragazzino con un visetto d’angelo e il sorriso malizioso, che contiene a fatica l’urgenza di alzarsi e andarsene. Dominic Bajraktari Andersson dice nel registratore. È lui Zlatan tra gli 11 e i 13 anni.

Con gli attori non professionisti bisogna lavorare sull’energia. Ora, ora, ora. Non gli ho dato tregua. Batte le mani Jens come un istruttore che chieda ai suoi atleti di mettersi a saltellare sul campo. E i due ragazzi, lo spilungone e il piccolo, ridacchiano tra loro, ricordando chissà quali momenti durante le riprese, i loro occhi sono pieni di divertimento, ma anche di riconoscenza. Perché il risultato finale è uno splendido film su Zlatan, non ancora Ibra, che, con fatica, volontà e coraggio, cerca il suo posto nel mondo. Figlio di genitori separati –  immigrati dall’ex Jugoslavia in Svezia, la madre donna delle pulizie, – si muove in un mondo di cui molto gli sfugge e la sua diventa una storia universale, da  qui il fascino sottile del film, che permette a chiunque di identificarsi. 

Lo spettatore avrà, talvolta, l’impressione che qualcosa gli sfugga, proprio come succedeva a  Zlatan, perché tutto è raccontato dal suo punto di vista. Quello di un ragazzino che fa male ogni cosa finché non trova nel calcio la possibilità di incanalare la sua energia. Volevo che nel film si sentisse la fatica del calcio, e cosa vuol dire vedere tuo padre che non ha i soldi per la consegna e si carica sulle spalle il letto comprato da Ikea  e cosa vuol dire essere soli in uno spogliatoio dove è affissa una petizione perché tu venga espulso. Cosa vuol dire scendere in campo in una giornata di pioggia schifosa in un paese di cui non conosci la lingua. Dice Jens che si infiamma e si accalora. Continua ad allontanarsi dal microfono e la sua voce a tratti si perde. Quali di queste immagini lo fanno sentire più forte? Io credo che il ricordo di suo padre che si carica il letto sulle spalle debba farlo sentire più forte…

Se capisco bene, lo interrompe un giornalista Zlatan, come lei lo presenta, è un ragazzo che vuole essere accettato per quello che è. Per come vuole giocare lui. E non per come vogliono gli altri che lui sia.

Jens si alza di scatto e va a stringere la mano del giornalista che ha colto le intenzioni profonde del suo film, per la disperazione dei tecnici che continuano ad implorarlo di parlare nel microfono.

Mi scuso, scrolla la testa mentre torna a sedersi anche io ero un ragazzino iperattivo. Come quello lì. E indica il piccolo Dominic che ride. L’ho scelto perché viene dalla stessa città, dallo stesso quartiere di Zlatan, ma anche perché non sta mai fermo e fa tutto male. Mi ha mandato un self tape che era una schifezza. Un disastro com era Zlatan agli inizi. Quando mi hanno proposto questa storia ero dubbioso. Ibra è Ibra: troppo famoso. Poi l’ho incontrato e quando lui entra nella stanza, resti senza fiato, mi ha raccontato un sacco di cose ed è lui stesso, con il suo racconto, a offrirti mille chiavi. Ho capito che in sostanza si trattava della storia di un padre e di un figlio. E ho capito che potevo raccontarla. Non mi piacciono quei film che fanno vedere i genitori tutti bianchi o tutti neri. Se fossero stati tutti neri oggi non ci sarebbe Ibra. Non ho mai conosciuto nessuno che ami tanto il calcio come lui. Lo ama con la passione di un bambino.

Il regista Jens Sjögren

Jens vuole che siano anche i ragazzi a parlare sebbene gli attori sembrino più che contenti di starsene all’ombra della passione che trasuda da ogni frase del loro regista. 

Cosa hanno detto i tuoi genitori quando ti hanno scelto? Chiedono al piccolo Dominic.

Beh erano contenti che avessi qualcosa da fare. E tutti attorno sorridono. (Al pensiero di quei genitori felici che qualcuno tenesse impegnato il loro vivacissimo figliolo). 

E su cosa hai dovuto lavorare di più?

Sulla rabbia, dice guardandosi attorno questo ragazzino bravissimo di cui non puoi non innamorati quando lo vedi muoversi sul campo rincorrendo la palla, non sapendo dove andare, senza un genitore che venga ad assistere agli allenamenti e poi scopre che è bravo, è bella la sua sorpresa quando scopre che è bravo.

Io non la conosco la rabbia. E poi ho dovuto imparare a giocare a calcio.

Granit Rushiti, il ragazzo alto, alto, invece è bravissimo a giocare a calcio.

È stato fantastico. Non si trattiene Jens, perché la macchina da presa poteva seguirlo senza stacchi dalla testa ai piedi. Volevo un attore che fosse alto. Perché le persone alte creano qualcosa di molto speciale quando entrano in una stanza. Con lui abbiamo dovuto lavorare sulla parte della seduzione, della fascinazione.

Sì io sono timido, Ammette Granit agitando per l’ imbarazzo le sue lunghissime gambe. Ho dovuto imparare a non vergognarmi di chiedere ad una ragazza di uscire. Io sono gentile come Zlatan però se qualcuno mi offende è normale che reagisca. Sorride e  torna a guardare Jens.

Zlatan può passare dalla gentilezza alla rabbia in un istante. Chiarisce Jens schioccando le dita per indicare l’istante, la cosa incredibile è che Granit è riuscito a trovare la stessa voce di Zlatan e allora il suo personaggio è sbocciato.

E Zlatan cosa ha detto del film?

Jens salta su.

Loro, indica i ragazzi che lo guardano e ridono, continuavano a chiedermi “quando ce lo fai conoscere  Zlatan?” per loro è un idolo. Lo hanno conosciuto dopo la proiezione. È stata la proiezione peggiore della mia vita …tutti lo guardano sorpresi prima, poi dopo no. Tranquilli. Poi serio serio, all’improvviso immobile davanti al microfono, spiega: C’è stato il lockdown e allora noi siamo andati a Milano a fargli vedere il film, diciamo che avevamo il 70% montato mancava la parte dell’Ajax. E durante la proiezione io vedevo solo la sua nuca. Chissà se è una sua ossessione quella della nuca di Zlatan con cui si apre anche il film e, di sicuro, fa un certo effetto seguire la nuca di qualcuno e cercare di immaginare cosa stia provando. Jens rivive quel momento e lo mima perché anche noi possiamo riviverlo. Finisce la proiezione e ci sono 3 o 4 secondi di assoluto silenzio poi si sente l’applauso di Ibra Clap clap nella sala vuota e quando mi avvicino vedo la sua emozione. Ha quasi un groppo in gola. E quella è stata la felicità. Lui e la moglie erano molto colpiti. Mi hai restituito la mia infanzia, cose che solo io conosco. Gli ha detto Zlatan colpito dal miracolo del cinema che può restituire la vita.

È stata una felicità potergli regalare quei momenti. Credo che lo faranno sentire più forte. Credo che sia importante anche per tanti ragazzi che vedono in Ibra un’ispirazione. Potranno conoscerne la vita e poi vederlo ancora in azione. E ammirarlo ancora di più.

I due ragazzi attori annuiscono e sgranano gli occhi: Sì, sì è stato bello conoscerlo dopo. Era molto gentile. E anche divertente. Non ci aspettavamo che fosse così divertente. Ci ha fatto ridere.

Per i ragazzi è lui, Zlatan Ibrahimović l’ispirazione. Per Zlatan sono stati Mohammed Ali e Bruce Lee e per lei Jens?

Oh Dio santo per me? Sembra smarrito. Si concentra, Poi dichiara stupito, come se lo scoprisse adesso, per me è mia moglie: senza di lei non sarei qui. E temo di non averglielo mai detto. Lei mi libera dalle preoccupazioni.

All’inizio era preoccupato per questi ragazzi. Mi troverò con loro? Ce la faranno?
E lei mi ha rassicurato: i primi giorni per te è sempre così, non ti trovi, ma dopo li conosci e andrà tutto bene.

I ragazzi attori annuiscono: dopo è andato tutto bene. Al punto che, adesso che hanno scoperto questa magnifica professione, vorrebbero tanto continuare a  fare gli attori.  Sorridono: un sorriso rivolto all’interno, come se alla fine Zlatan se lo portassero dentro. E di sicuro dentro resterà in loro, gli auguriamo, quella volontà di Zlatan bambino di essere accettati per ciò che si è, per ciò che si vuole e non per quello che gli altri sono o vorrebbero che noi fossimo.  

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Informazioni su Lorenza Del Tosto 25 Articoli
Lorenza Del Tosto Vive a Roma con le sue figlie e il gatto Leo. Interprete di Conferenza free lance. Tra le sue passioni: le serate di chiacchiere con gli amici, il cinema, la letteratura e l’Aikido. Ha una rubrica Lost in Translation con ritratti di attori e registi per cui lavora. Ha vinto un’edizione del Premio Loria per racconti inediti ed è arrivata finalista in altri concorsi letterari.
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