Abbas Kiarostami: la necessità di riequilibrare i rapporti di forza tra uomo e natura

Riportiamo l’interessante articolo di Tommaso Zerbi scritto in collaborazione con il professor Marco Dalla Gassa e pubblicato su Linkiesta, sulla figura di Kiarostami, regista ma anche poeta e artista

la Redazione

Nei film e nelle opere del regista iraniano,morto a Parigi sei anni fa, l’essere umano è comparsa
e non protagonista: domina il paesaggio. Assieme al professor Marco Dalla Gassa abbiamo approfondito il lavoro e la mentalità di un visionario che ha lasciato il segno.

Nel cinema del visionario regista e sceneggiatore (ma anche poeta, pittore) Abbas Kiarostami, nato a Teheran nel 1940 e morto a Parigi nel 2016, il paesaggio e la specie umana sono due elementi che coesistono nonostante si trovino in costante tensione fra loro. Entrando nel vivo di alcune scene dei suoi film, si può riconoscere il suo impegno rispetto al tema dell’ecologia.
Per approfondire il suo lavoro e la sua mentalità ci siamo rivolti a Marco Dalla Gassa, professore associato di Cinema e Culture visuali presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, che ha avuto la preziosa occasione di conoscere Kiarostami nel 2003, quando il regista è stato insignito di una laurea honoris causa proprio nel capoluogo veneto.
In conversazione con Linkiesta, l’esperto ha parlato del rapporto diretto tra le produzioni del
regista e l’emergenza ambientale, facendo particolare riferimento a due film – “Il sapore
della ciliegia” (1997) e “E la vita continua” (1992) – e all’installazione “Foresta senza
foglie”, che è stata esposta al Victoria and Albert Museum nel 2005.
Nel film “Il sapore della ciliegia” spiccano i dialoghi e le citazioni di Badi, un uomo sulla
cinquantina ateo che sta pensando di suicidarsi. Nella pianificazione dell’atto fatale, Badi
chiede un aiuto a due persone, che non sono disposte ad “aiutarlo”. All’improvviso, poi,
appare un vecchio sul ciglio del marciapiede: il signor Bagheri. L’impressione è che
quest’ultimo voglia collaborare – si scopre che è disposto solo in cambio di un compenso –
a distanza di pochi attimi dal loro incontro iniziale. Tuttavia, l’anziano spende due parole
nel tentativo di far cambiare l’idea a Badi. Tutto grazie al gelso.
«C’era una piantagione di gelso vicino alla nostra casa. Era buio. Ho gettato varie volte la
corda […] Sono salito sull’albero e lì ho sentito una cosa sulla mano, un gelso. E che
gelso. Dolcissimo, il primo l’ho mangiato […] A un certo punto ho visto il cielo che si stava
schiarendo, Che bel sole, che vista, quanto verde. A quel punto ho sentito le voci dei
ragazzi, i ragazzi andavano a scuola. Quando hanno visto che io mangiavo i gelosi hanno
detto: “Scuoti l’albero”. Io scossi l’albero e loro hanno mangiato. Loro mangiavano e io ero
contento. Poi ho scelto un po’ di gelsi li ho raccolti in una foglia e li ho regalati a mia moglie al suo risveglio. Anche lei li ha mangiati, anche lei li ha gustati. Ero andato a suicidarmi e sono ritornato con i gelsi. Capito? Mi ha salvato un gelso».
Nell’esibizione della natura all’interno dei suoi film è possibile registrare alcune similitudini
tra la regia di Kiarostami e la poesia iraniana. Anch’essa infatti fa uso di alcune icone
evocative derivanti dal paesaggio.

In alto a sn e a dx Il sapore della ciliegia, 1997; a sn in basso E la vita continua, 1992

È come se il contesto della natura di Kiarostami condizionasse i ragionamenti delle
persone. L’amore verso i paesaggi naturali permette di raggiungere una nuova forma di
intimità. L’uomo che è ispirato dai colori e dalle forme da cui è circondato è più
consapevole persino della propria dimensione sociale e delle sue angosce.
Secondo Dalla Gassa, «tutti i lavori del regista trovano ispirazione – direttamente o
indirettamente – dalla lirica persiana di cui Kiarostami era raffinato conoscitore. E nella
lirica persiana, come in quella di Hadez, la natura tramite alcune sue immagini
iconografiche come l’albero ha da sempre una funzione centrale nel rapporto tra l’essere
umano e il trascendente».
I personaggi del film vivono ognuno secondo la propria sfumatura caratteriale. Seguono il
flusso degli eventi. Tuttavia, si nota un brusio di sottofondo come a suggerire che qualcosa
sta andando storto, e che si dovrebbe intervenire il più in fretta possibile. Lo spazzino della
spiaggia, che raccoglie la plastica buttata sul litorale in un sacco consegnandolo a una
fabbrica in cambio di un compenso. La miseria, allacciata al tema dello sconforto interiore,
impatta sulla dimensione quotidiana dei personaggi: nemmeno le meravigliose colline di
Teheran riescono a consolarli.
In questo quadro drammatico, si identifica quella che potremmo definire come una sorta di
connessione metafisica fra la dimensione umana e quella naturale per cui nessuna delle
due parti non può fare a meno di invadere l’altra per mezzo della propria presenza.
Esiste un fil rouge che unisce gli altri lavori di Kiarostami. Come spiega dalla Gassa, «tutti i
lavori del regista includono una serie di citazioni alla poesia iraniana del passato. L’uso
meticoloso delle immagini prese direttamente dalla natura denota come la poesia stessa
sia una fonte d’ispirazione per Kiarostami».
Parlando di “E la vita continua”, il film uscito nel 1992, va sottolineato il significato del
trauma come elemento poetico all’interno della narrativa. Il lungometraggio è stato girato
nel Gilan, una regione nord occidentale dell’Iran devastata da un terremoto nel 1990. A
partire dalle prime scene, si nota come le memorie dei personaggi siano segnate da
questa catastrofe, ricordi del disastro segnano fisicamente la vegetazione, invadendo
persino i dialoghi interpersonali.
Kiarostami si è cimentato nella creazione di documentari, di video sperimentali, di
installazioni, di fotografie, di film realizzati con programmi grafici. Un artista poliedrico.
Degna di nota è anche l’installazione “Foresta senza foglie”, composta da tubi giganti su cui
vengono proiettate le simulazioni fotografiche degli alberi e dei loro tronchi, senza la
chioma. Quest’opera sovverte la maniera in cui ci approcciamo ai paesaggi, provocando
negli spettatori un nuovo istinto nei confronti della natura (di cui ci prendiamo cura
sporadicamente).

L’opera sembra voler provocare una domanda su tutte: l’uomo, a causa delle sue attività,
è la causa di tutti i mali della natura? L’albero spoglio ne è la testimonianza fisica, la prova
tangibile del nostro atteggiamento superficiale. La retorica di Kiarostami è suggestiva ed
ecologista. Il regista, che ha approfondito temi per molto attuali, ha spesso dato priorità
alla poesia, usandola come proprio manifesto. Nei film e nell’installazione, l’uomo diventa
comparsa e non protagonista. Perché a dominare è la natura. Tutti questi elementi, pur
trovandosi ad altitudini diverse, dipendono gli uni dagli altri. Quello che rimane è che la
decadenza della nostra specie e l’inspiegabile ripudio per le cose semplici e naturali sono
due temi rilevanti del regista.

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