di Tano Pirrone
Inutile continuare con le lodi! Se può sembrare che io esageri, andate – senza puzza sotto il naso – andate a verificare alla prossima occasione: il cartellone è ben addobbato e fa invidia a tutti. Nella fattispecie, la mia orgiastica recensione è dovuta alla fortunata fruizione dello spettacolo che è andato in palcoscenico per due settimane in questo marzo ballerino: La Pace di Aristofane, per adattamento, regia e musiche di Vincenzo Zingaro. Scelta felicissima per l’argomento in un tempo in cui la pace è straniera in casa dell’uomo (evito la maiuscola per mancanza di merito). Commedia popolare dall’articolato sviluppo, realizzata con l’abituale maestria dal padre della Commedia greca, messa in scena nel 421 a.c., in un periodo di grande turbolenza; sapientemente adeguata al suo pubblico tradizionale: un prodotto che oggi si direbbe, senza alcuna enfasi negativa, nazionalpopolare. In esso ogni espediente scenico è finalizzato a tenere il pubblico in sospeso e attrarlo al tema fondamentale: la pace fra gli uomini, senza la quale c’è il baratro della barbarie, delle carestie, della rovina.
Gli strumenti umani attraverso cui il duo Aristofane – Zingaro produce l’alchimia di trasformare la parola scritta in recita, in spettacolo, sono stati scelti con mano sapiente e fortunata. Chi ci ha fatto gioire per due ore e poi, parlandone e ora scrivendone, sono i bravissimi (il superlativo è assolutamente d’obbligo) attori e le bravissime attrici, che hanno contribuito al successo dello spettacolo, con una capacità interpretativa indiscutibile; che hanno dato ritmo e continuità allo spettacolo, con capacità attoriali apprezzabili, atte a plasmare i personaggi a tutto tondo, regalando agli spettatori uno spettacolo divertente e di monito.
E ora fuori i nomi di quelli che sul palco sono andati e sotto luci e musica hanno dato vita a personaggi di venticinque secoli fa con destrezza, figlia delle loro attitudini recitative e delle capacità di stabilire fra loro, il testo e l’onnipresente autore un legame, un’intesa magici, che attraggono e conducono nei lidi cari a Talia, la lieve e leggiadra musa della commedia e della poesia leggera: Irene Catroppa è stata la desiata Pace, e Laura De Angelis ha rivestito il duplice ruolo di Guerra e di Opora; Mario Piana nei ruoli di un servo e un contadino; Fabrizio Passerini, in quelli di Ierocle, di un servo e di un contadino; Rocco Militano, nei plurimi panni di Tumulto, di Empedocle e di un contadino; Pietro Sarpa è stato Ermes e, dulcis in fundo, Giovanni Ribò, trasformato nel tignoso e bonaccione Trigeo: lo ha fatto con perizia, scaltrezza, mestiere. Bravo lui e bravi tutti, parimenti, gli altri attori e le attrici, che alla fine erano tutti stanchi, ma non hanno battuto ciglio alle ripetute raffiche di calorosi e motivati applausi.
Arridatece er Teatro!
Certo che il teatro è meglio del cinema. Ma se dovessi vedere La pace di Aristofane al cinema mi chiederei prima chi e come la potrebbe realizzare e poi sarebbe sempre su un supporto (una pellicola). Vuoi mettere vedere le persone vere lì sul palco. Con quella continuità umana di corpo e di idee di 25 secoli fa!
E le raffiche di applausi che ogni volta che tornano in scena gli attori ti strappano. L’emozione che senti perché hai visto davanti a te i loro sforzi, le loro bravure di recitazione e di comunicazione.
Grazie Tano, maestro di teatro antico, che ancora resiste alla calata dei barbari influencer sui prodotti più moderni e tecnologici (Alexia portata da Amazon).